Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, articolo di Ermes Dovico del 25 gennaio 2024
Dopo l’annullamento, il 24 giugno 2022, della sentenza abortista Roe contro Wade, gli Stati Uniti stanno sperimentando una crescita dell’attività dei centri pro vita e quindi dei servizi a difesa della maternità e dei bambini nel grembo. È quanto emerge dal rapporto
“Hope for a new generation” (Speranza per una nuova generazione), pubblicato dallo Charlotte Lozier Institute e da altre realtà del movimento pro life statunitense sulla base dei dati forniti da 2.750 centri per la gravidanza, dislocati in tutti i 50 Stati federati.
Il rapporto è snello ma riporta vari dati interessanti. Tra questi il fatto che nel 2022, anno interessato per tutta la sua seconda metà dagli effetti della sentenza Dobbs contro Jackson (effetti che pure rimangono complessi per le contromisure abortiste adottate dagli Stati a guida Dem e dall’amministrazione Biden), i centri di aiuto alla gravidanza hanno registrato un totale di 974.965 clienti in più rispetto all’ultima rilevazione, riguardante i dati del 2019. Allo stesso tempo si è avuta una corrispondente crescita dei servizi offerti, la gran parte dei quali gratuitamente, come test per la gravidanza (703.835), ecografie (517.557), test per malattie sessualmente trasmissibili (203.171). In 738 centri il supporto sul piano medico-sanitario ha incluso anche la possibilità di invertire il processo indotto dall’assunzione della prima pillola prevista dal regime classico di aborto farmacologico (vedi qui).
Sul piano invece dei beni materiali, i centri pro vita per la gravidanza hanno offerto gratuitamente prodotti per la prima infanzia – pannolini, vestiti, culle, passeggini, eccetera – per un totale di oltre 358 milioni di dollari.
Notevole anche il numero di sedute, di persona o da remoto, che questi 2.750 centri si sono trovati a gestire: più di 16 milioni (16.050.312), in media 16 al giorno, se per comodità spalmiamo le sedute lungo tutti i 365 giorni dell’anno (considerando i giorni non lavorativi, la media quotidiana chiaramente si alzerebbe). Per garantire una simile assistenza sono state impegnate 62.576 persone (per quasi il 72% si tratta di volontari), di cui 10.175 (più del 16%) rientrano nel personale medico. C’è stata una crescita dello staff pagato, in particolare di quello medico.
Tra le altre attività da segnalare, anche il sostegno post-aborto, in favore di 19.383 persone. È un’altra cifra significativa, perché ricorda la diffusa realtà della sindrome post-aborto, cioè di tutta quella serie di conseguenze (a livello innanzitutto morale e psichico, ma inevitabilmente anche fisico) che l’aborto volontario reca con sé. Proprio per far fronte a questa realtà, all’interno del movimento pro vita sono nati negli anni dei gruppi – come la Vigna di Rachele (Rachel’s Vineyard), un apostolato internazionale sorto negli USA, attivo pure in Italia e già noto ai lettori della Nuova Bussola (vedi qui e qui) – con il fine specifico di aiutare le donne e anche gli uomini a superare le ferite causate dall’aborto procurato, riconciliandosi con Dio, con il figlio perduto e con sé stessi.
Il lavoro di questi centri per la gravidanza trova un suo riconoscimento anche nell’elevata percentuale di soddisfazione tra i clienti, pari al 97,4%. Eppure, nonostante il bene che questi centri fanno, il Partito Democratico propone di volta in volta nuove misure per cercare di ostacolare la loro attività sia a livello di singoli Stati sia a livello federale: si va dai tentativi di limitare la libertà di parola dei centri pro vita (ritenuti colpevoli di “disinformazione” volta a scoraggiare l’aborto) a quelli di tagliare loro i finanziamenti pubblici, per dirottarli verso l’industria dell’aborto, in primis Planned Parenthood. Non è un mistero, poi, come questa stessa industria veda come fumo negli occhi i più semplici servizi che i centri per la gravidanza offrono, come le ecografie: le quali, mostrando la realtà del concepito per ciò che è (una persona umana a tutti gli effetti), nella maggior parte dei casi giocano un ruolo fondamentale nel convincere le donne a tenere il bambino che portano in grembo. Per la serie: tutto il mondo è paese. Ecco perché, per stare nella nostra Italia, proposte di legge come “Un cuore che batte” fanno tanto paura a coloro che spacciano l’aborto come un bene e non vogliono neanche sentir parlare di alternative. E pazienza se ciò, per gli abortisti più ostinati, significa sacrificare il principio di non contraddizione e la tanto decantata “libertà di scelta”, che vale solo se si sceglie l’aborto. Ossia il male.
Quanto invece sia importante ricevere un sostegno per far passare i timori di proseguire la gravidanza lo ricorda una testimonianza, contenuta nel rapporto, di una donna di Las Vegas (Nevada): «Ero pronta a rinunciare alla vita del mio bambino perché non ero preparata emotivamente né finanziariamente. Mi sentivo sola e disperata». Le è bastato parlare con due persone di un centro pro vita per ritrovare la fiducia: «Ogni volta che andavo a un appuntamento prenatale o a un corso, mi sentivo tanto amata e sostenuta, e questo ha continuato a darmi speranza».
Una storia simile, non contenuta nel suddetto rapporto ma sempre relativa ai centri pro vita statunitensi, la racconta un’altra donna: Da’ Chiron, una madre del Mississippi, rimasta incinta quando era studentessa. Anche lei si sentiva «schiacciata» dall’idea di dover crescere il figlio con le sue sole forze. Ma anche lei è stata accolta «a braccia aperte» da un centro per la gravidanza. E oggi, a distanza di anni, lavora per la stessa organizzazione (Center for pregnancy choices) che l’ha aiutata a dare alla luce suo figlio.
Anche in questo caso tutto il mondo è paese, ma in senso buono, visto che storie a lieto fine come queste ne accadono ovunque – negli Stati Uniti, in Italia o altrove – siano presenti strutture e singole persone capaci di testimoniare un’autentica cultura della vita.
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