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Cresce il lavoro dei centri pro vita negli USA post- Roe

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, articolo di Ermes Dovico del 25 gennaio 2024

Dopo l’annullamento, il 24 giugno 2022, della sentenza abortista Roe contro Wade, gli Stati Uniti stanno sperimentando una crescita dell’attività dei centri pro vita e quindi dei servizi a difesa della maternità e dei bambini nel grembo. È quanto emerge dal rapporto

“Hope for a new generation” (Speranza per una nuova generazione), pubblicato dallo Charlotte Lozier Institute e da altre realtà del movimento pro life statunitense sulla base dei dati forniti da 2.750 centri per la gravidanza, dislocati in tutti i 50 Stati federati.

Il rapporto è snello ma riporta vari dati interessanti. Tra questi il fatto che nel 2022, anno interessato per tutta la sua seconda metà dagli effetti della sentenza Dobbs contro Jackson (effetti che pure rimangono complessi per le contromisure abortiste adottate dagli Stati a guida Dem e dall’amministrazione Biden)i centri di aiuto alla gravidanza hanno registrato un totale di 974.965 clienti in più rispetto all’ultima rilevazione, riguardante i dati del 2019. Allo stesso tempo si è avuta una corrispondente crescita dei servizi offerti, la gran parte dei quali gratuitamente, come test per la gravidanza (703.835), ecografie (517.557), test per malattie sessualmente trasmissibili (203.171). In 738 centri il supporto sul piano medico-sanitario ha incluso anche la possibilità di invertire il processo indotto dall’assunzione della prima pillola prevista dal regime classico di aborto farmacologico (vedi qui).

Sul piano invece dei beni materiali, i centri pro vita per la gravidanza hanno offerto gratuitamente prodotti per la prima infanzia – pannolini, vestiti, culle, passeggini, eccetera – per un totale di oltre 358 milioni di dollari.

Notevole anche il numero di sedute, di persona o da remoto, che questi 2.750 centri si sono trovati a gestire: più di 16 milioni (16.050.312), in media 16 al giorno, se per comodità spalmiamo le sedute lungo tutti i 365 giorni dell’anno (considerando i giorni non lavorativi, la media quotidiana chiaramente si alzerebbe). Per garantire una simile assistenza sono state impegnate 62.576 persone (per quasi il 72% si tratta di volontari), di cui 10.175 (più del 16%) rientrano nel personale medico. C’è stata una crescita dello staff pagato, in particolare di quello medico.

Tra le altre attività da segnalare, anche il sostegno post-aborto, in favore di 19.383 persone. È un’altra cifra significativa, perché ricorda la diffusa realtà della sindrome post-aborto, cioè di tutta quella serie di conseguenze (a livello innanzitutto morale e psichico, ma inevitabilmente anche fisico) che l’aborto volontario reca con sé. Proprio per far fronte a questa realtà, all’interno del movimento pro vita sono nati negli anni dei gruppi – come la Vigna di Rachele (Rachel’s Vineyard), un apostolato internazionale sorto negli USA, attivo pure in Italia e già noto ai lettori della Nuova Bussola (vedi qui e qui) – con il fine specifico di aiutare le donne e anche gli uomini a superare le ferite causate dall’aborto procurato, riconciliandosi con Dio, con il figlio perduto e con sé stessi.

Il lavoro di questi centri per la gravidanza trova un suo riconoscimento anche nell’elevata percentuale di soddisfazione tra i clienti, pari al 97,4%. Eppure, nonostante il bene che questi centri fanno, il Partito Democratico propone di volta in volta nuove misure per cercare di ostacolare la loro attività sia a livello di singoli Stati sia a livello federale: si va dai tentativi di limitare la libertà di parola dei centri pro vita (ritenuti colpevoli di “disinformazione” volta a scoraggiare l’aborto) a quelli di tagliare loro i finanziamenti pubblici, per dirottarli verso l’industria dell’aborto, in primis Planned Parenthood. Non è un mistero, poi, come questa stessa industria veda come fumo negli occhi i più semplici servizi che i centri per la gravidanza offrono, come le ecografie: le quali, mostrando la realtà del concepito per ciò che è (una persona umana a tutti gli effetti), nella maggior parte dei casi giocano un ruolo fondamentale nel convincere le donne a tenere il bambino che portano in grembo. Per la serie: tutto il mondo è paese. Ecco perché, per stare nella nostra Italia, proposte di legge come “Un cuore che batte” fanno tanto paura a coloro che spacciano l’aborto come un bene e non vogliono neanche sentir parlare di alternative. E pazienza se ciò, per gli abortisti più ostinati, significa sacrificare il principio di non contraddizione e la tanto decantata “libertà di scelta”, che vale solo se si sceglie l’aborto. Ossia il male.

Quanto invece sia importante ricevere un sostegno per far passare i timori di proseguire la gravidanza lo ricorda una testimonianza, contenuta nel rapporto, di una donna di Las Vegas (Nevada): «Ero pronta a rinunciare alla vita del mio bambino perché non ero preparata emotivamente né finanziariamente. Mi sentivo sola e disperata». Le è bastato parlare con due persone di un centro pro vita per ritrovare la fiducia: «Ogni volta che andavo a un appuntamento prenatale o a un corso, mi sentivo tanto amata e sostenuta, e questo ha continuato a darmi speranza».

Una storia simile, non contenuta nel suddetto rapporto ma sempre relativa ai centri pro vita statunitensi, la racconta un’altra donna: Da’ Chiron, una madre del Mississippi, rimasta incinta quando era studentessa. Anche lei si sentiva «schiacciata» dall’idea di dover crescere il figlio con le sue sole forze. Ma anche lei è stata accolta «a braccia aperte» da un centro per la gravidanza. E oggi, a distanza di anni, lavora per la stessa organizzazione (Center for pregnancy choices) che l’ha aiutata a dare alla luce suo figlio.

Anche in questo caso tutto il mondo è paese, ma in senso buono, visto che storie a lieto fine come queste ne accadono ovunque – negli Stati Uniti, in Italia o altrove – siano presenti strutture e singole persone capaci di testimoniare un’autentica cultura della vita.




Pregano davanti all’abortificio, scatta la furia rossa del governo

Fonte: Nuova Bussola Quotidiana – articolo di Luca Volontè del 2-1-2024

Nella Spagna di Sanchez e della sua maggioranza social comunista si viene arrestati solo per avere, un giorno all’anno, recitato il Rosario nei pressi delle cliniche abortiste, alle femministe invece ogni minaccia e violenza è concessa e con la futura approvazione di una legge che liberalizza l’aborto sino alla nascita, per i pro life e i credenti si avvicinano le catacombe.

Lo scorso 28 Dicembre, memoria dei Santi Innocenti, i pro vida spagnoli avevano organizzato due manifestazioni di preghiera, “armati” di santo Rosario, si erano dati appuntamento in diverse città del paese nei pressi delle cliniche abortiste e a Madrid dinnanzi alla “Dator”, il più grande abortificio della capitale. Per mantenere l’ordine pubblico, il governo social-comunista spagnolo ha inviato 5 furgoni e 20 agenti, dispiegati per evitare scontri tra gli oranti cattolici e la marmaglia delle femministe abortiste accorse a difesa dell’omicidio degli innocenti.

Le intenzioni della polizia erano apparentemente buone ma, alla prova dei fatti, gli unici a finire nel mirino sono stati proprio coloro che pregavano, mentre le femministe hanno avuto mano libera di agire. In totale, circa 300 persone sono scese in piazza tra Madrid e Saragozza per recitare il Rosario per i bambini abortiti che in Spagna sono più di 99.149 all’anno, secondo l’ultimo studio dell’Istituto per la Politica Familiare (IPF), più di 253 aborti al giorno, uno ogni 5 minuti.

«Siamo venuti a chiedere che la vita venga difesa, questa battaglia è culturale ma deve essere anche spirituale», ha spiegato alla agenzia di stampa “ZENIT” un giovane di 25 anni, mentre si recava alla clinica Dator di Madrid per unirsi all’appello della piattaforma “La preghiera non è un crimine” e per partecipare al rosario che era stato indetto. Dalla primavera dello scorso anno, con l’approvazione della Ley Orgánica 4/2022 del 12 aprile di riforma del Codice penale, si criminalizza le molestie alle donne che si recano in clinica per l’interruzione volontaria della gravidanza, creando l’articolo 172 quater. Questa legge punisce con la reclusione da tre mesi a un anno o con il lavoro di pubblica utilità da 31 a 80 giorni chiunque, al fine di ostacolare il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, molesti una donna con atti molesti, offensivi, intimidatori o coercitivi, minando la sua libertà.

Le stesse pene sono comminate se le molestie sono rivolte a professionisti sanitari, operatori o dirigenti di centri autorizzati a praticare l’aborto. All’appello del movimento pro life hanno risposto, per altro verso, anche i gruppi femministi che vogliono trasformare l’aborto in un diritto, rendendo inevitabile lo scontro: i cattolici con il rosario in mano e alzando la voce, mentre le femministe urlavano grida offensive sia ai cattolici che alle persone riunite. «Bruceremo la Conferenza episcopale, con tutti i vescovi dentro», «Via i rosari dalle nostre ovaie», «Che barbarie che chi non partorisce mai ci proibisca di abortire», sono state queste le minacce che facevano da controcanto alle litanie alla Madonna, mentre quelle stesse femministe cecavano indisturbate di intimidire i cattolici.




«Io, pro-vita, arrestata perché pregavo in silenzio»

30 Dicembre 2022

di Riccardo Cascioli

Il 6 dicembre è stata arrestata a Birmingham perché pregava, nella sua mente, davanti a una clinica per aborti, quel giorno chiusa. Andrà a processo per aver violato l’ordine che di recente ha istituito una zona cuscinetto attorno alla clinica. «Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito oltre cento donne», ma ora il divieto «ci impedisce di essere lì nel momento in cui hanno più bisogno di noi». La Nuova Bussola intervista Isabel Vaughan-Spruce.
– VIDEO: C’È GIÀ LA POLIZIA DEL PENSIERO E NESSUNO SE NE PREOCCUPA

«Una volta, mentre eravamo fuori dalla clinica per aborti, una diciannovenne di passaggio ci ha chiesto cosa stessimo facendo. Le abbiamo risposto che eravamo lì per pregare e offrire alternative a chiunque pensasse di abortire. Lei ha detto: “Perché non eravate qui la scorsa settimana? Non avrei abortito se foste state qui”».

A parlare è Isabel Vaughan-Spruce, cattolica di 45 anni, co-direttrice di March for Life UK, intervistata in esclusiva dalla Nuova Bussola Quotidiana. La sua voce è calda e placida, non dissimile da quando ha parlato con la polizia durante il suo arresto lo scorso 6 dicembre, perché sospettata di aver pregato in silenzio davanti a una clinica per aborti. Per la polizia, non stava rispettando un Ordine di Protezione dello Spazio Pubblico (Pspo, nell’acronimo inglese). I Pspo servono a fermare proteste o comportamenti che rechino disturbo entro un limite di circa 150 metri da un luogo specifico.

Lo scorso 7 settembre, il Consiglio della Contea di Birmingham ha concesso lo status di Pspo a favore di un’affollata clinica per aborti nella zona di Kings Norton. Un astante ha visto Isabel in piedi nelle vicinanze della clinica e l’ha denunciata alla polizia. Il video di Isabel interrogata, perquisita e portata via da una squadra di tre poliziotti (vedi in fondo) ha inorridito milioni di spettatori in tutto il mondo. Esso ha anche aperto un dibattito internazionale su fino a che punto uno Stato democratico possa oggi legittimamente limitare la libertà di parola, la libertà di pensiero e di religione. Nel frattempo, il 2 febbraio, Isabel sarà processata come una criminale presso la Corte dei Magistrati di Birmingham, per i suoi pensieri privati e le sue preghiere silenziose.

Isabel, iniziamo dal tuo arresto: cos’è successo esattamente quel pomeriggio del 6 dicembre?
Quel giorno sono andata a pregare fuori dalla Robert Clinic del British Pregnancy Advisory Service (Bpas), a Kings Norton, dove vengono eseguiti numerosi aborti. Non è aperta tutti i giorni, quindi controllo il loro sito Internet e ci vado solo quando so che è chiusa. Qualcuno ha chiamato la polizia per informarla che ero lì e che pensavano stessi pregando. La polizia è arrivata per interrogarmi e, quando ho detto che non stavo protestando ma pregando in silenzio nella mia mente, mi hanno detto che ero in arresto per aver violato il Pspo e presumibilmente in altre tre precedenti occasioni. Ho detto loro che la clinica era chiusa, che lo era sempre stata quando ero andata lì e quindi mi era impossibile interagire con qualcuno. Innanzitutto, mi hanno perquisito, mi hanno sequestrato chiavi, telefono e fazzoletti e poi mi hanno portato alla locale stazione di polizia. Sono stata messa in una cella e successivamente interrogata da due ufficiali sui miei pensieri e su cosa stessi pregando. Diverse ore più tardi, sono stata accusata con quattro capi di imputazione per aver violato il Pspo e sono stata rilasciata su cauzione a due condizioni: non contattare un particolare sacerdote pro-vita che conosco e non entrare nella zona cuscinetto intorno alla clinica. Pochi giorni dopo, la prima condizione è stata annullata.

Andare alla Robert Clinic fa parte del tuo lavoro per 40 Days for Life a Birmingham?
Sì. Prima che il Pspo fosse messo in atto, organizzavo 40 giorni di continua preghiera e supporto fuori dalla Robert Clinic, per 12 ore al giorno, due volte l’anno, durante la Quaresima e in autunno. Piccoli gruppi di volontari cristiani, due o tre, si alternavano per pregare, distribuire volantini e parlare alle donne che pensavano di abortire. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito oltre cento donne. Abbiamo avuto donne che hanno lasciato la clinica dopo aver preso la prima delle pillole per l’aborto farmacologico, chiedendo aiuto perché si erano pentite della loro decisione. Indichiamo un centro medico dove un dottore può fornire loro un trattamento per fermare la procedura abortiva. Le avvertiamo che potrebbe non funzionare, ma che provare è sicuro. Siamo lì per pregare e offrire il nostro aiuto a chiunque lo desideri. La cosa triste è che questo Pspo a Birmingham ci impedisce di essere lì per le donne nel momento in cui hanno più bisogno di noi.

Finché il Pspo rimane in vigore non puoi aiutare attivamente le donne che vanno ad abortire, eppure vai in clinica, quando è chiusa, per pregare. Perché la preghiera è così centrale nel tuo lavoro per la vita?
Crediamo nel potere della preghiera. Una volta siamo stati avvicinati da una coppia musulmana che stava pensando di abortire. Sono venuti alla clinica ma si sono fermati prima di entrare, per chiedere informazioni e hanno preso un volantino. In seguito, abbiamo chiesto loro cosa li avesse spinti a parlare con noi fuori dal centro per aborti. Hanno risposto che quella mattina avevano pregato insieme di incontrare un angelo che li aiutasse. Hanno considerato la nostra presenza e il nostro sostegno come una risposta alla loro preghiera. La preghiera può essere molto potente.

Cosa ti ha fatto decidere di dedicare totalmente la tua vita alla causa della vita?
È per il danno inflitto alle donne dall’aborto. Apprezzo molto la vita umana, dal concepimento alla morte. Non c’è motivo oggi per cui l’aborto debba essere considerato l’alternativa alle situazioni difficili. A volte viene presentata come l’unica opzione disponibile, che spinge le donne alla decisione di togliere la vita al proprio figlio. Alle donne devono essere offerte scelte reali che consentano loro di tenere il proprio figlio. La mia organizzazione ha aiutato donne e coppie dando alloggio, consulenza, assistenza all’infanzia, sostegno finanziario, articoli per bambini, assistenza medica privata nonché amicizia. Quando alle donne viene offerta un’alternativa, di solito scelgono di continuare la gravidanza. Offriamo anche supporto alle donne che hanno abortito e stanno soffrendo.

I pro-vita sono spesso rappresentati come fanatici o estremisti, è vero questo nel Regno Unito?
Nel 2018, una relazione del governo sul lavoro dei volontari pro-vita al di fuori delle strutture abortive ha rilevato che i casi di molestie sono rari. Ogni volontario che si unisce a noi deve prima firmare una dichiarazione di pace, per dichiarare che accetta di comportarsi in modo pacifico e amorevole. In realtà, le prove di 40 Days for Life Birmingham mostrano che gli stessi volontari pro-vita subiscono abusi fisici, minacce e insulti da parte della gente del posto (non da parte di coloro che utilizzano il centro per aborti), con il risultato che la polizia deve essere coinvolta e un uomo ha dovuto fare “giustizia riparativa”, cioè scrivere una lettera di scuse al volontario pro-vita per l’aggressione fisica.

Solo una curiosità: chi ha filmato il video del tuo arresto?
Uno del nostro gruppo era in un’auto nelle vicinanze e ha filmato l’accaduto. Come ho già detto, dei membri del nostro gruppo sono stati maltrattati. Dobbiamo pensare alla nostra sicurezza. Una persona potrebbe essere sulla strada ma un’altra è sempre vicina, magari aspettando in macchina, per motivi di sicurezza.

Speri che questo possa essere un precedente giudiziario per bloccare un emendamento al disegno di legge sull’ordine pubblico, attualmente in discussione alla Camera dei Lord, che renderebbe automaticamente un reato penale, forse già per il 2023, l’avvicinarsi a tutte le cliniche per aborti in Inghilterra e Galles?
Non posso dire nulla al momento sul mio procedimento penale o sulla mia linea difensiva né sulla contestazione civile alla legittimità del Pspo. Ma è paradossale che un sondaggio del 2022, commissionato dalla BBC, abbia mostrato che il 15% delle donne di età compresa tra i 18 e i 44 anni hanno affermato di essersi sentite sotto pressione, per abortire contro la propria volontà. Il 2021 ha registrato il numero di aborti più alto di sempre; eppure, invece di offrire alle donne maggiori opportunità di guardare alle alternative, vediamo che vengono prese misure per reprimere coloro che aiutano le donne in alcune delle situazioni più difficili. Non molto tempo fa, una donna che spingeva una carrozzina è venuta a parlarci fuori dalla clinica. Ha detto: «Sono voluta tornare qui per ringraziarvi per quello che fate. Mia figlia era venuta qui per abortire e, dopo avervi parlato, ha deciso di tenere il suo bambino. Io adesso sono una nonna e questa è la bambina, ora ha due anni!».




Arrestata per aver pregato. Nella sua mente

fonte: Il Timone

di Valerio Pece

24 Dicembre 2022

La notizia che arriva da Birmingham va oltre ogni possibile immaginazione e catapulta tutti nel bel mezzo di 1984, celebre romanzo distopico di George Orwell. Isabel Vaughan-Spruce, direttrice della Marcia per la vita nel Regno Unito, è stata arrestata dalla polizia perché assorta in preghiera, in assoluto silenzio, nei pressi di una clinica abortiva in quel momento chiusa.

Formalmente Vaughan-Spruce è stata accusata di aver infranto un ordine di protezione dello spazio pubblico, misura introdotta dal Consiglio comunale di Birmingham per garantire «alle persone che visitano e lavorano lì un libero accesso, senza timore di confronto». Trattasi di zone-cuscinetto in cui sono vietate le proteste contro l’aborto. Dunque, non sarebbe la preghiera il problema, la donna non doveva essere in quella zona della città (una cintura di circa 190 metri intorno alla clinica): è così che cerca di difendersi quella stampa liberal che non senza qualche imbarazzo ha dovuto dare la notizia dell’arresto. Le cose in realtà sono andate in un modo molto diverso. La donna era sola, in piedi, con le mani nel cappotto. Il fatto che potesse aver pregato in assoluto silenzio, dentro di sé, nel suo intimo foro interiore, è stato motivo sufficiente perché un agente di polizia la facesse salire in macchina portandola via. Gli avvocati della Alliance Defending Freedom, che difendono la donna, hanno pubblicato un comunicato in cui si legge la precisa (e surreale) scansione degli eventi: «La polizia si è avvicinata a Isabel Vaughan-Spruce in piedi vicino alla BPAS Robert Clinic a Kings Norton, Birmingham. Vaughan-Spruce non portava alcun segno [di carattere religioso, ndr] ed è rimasta completamente in silenzio fino a quando non è stata avvicinata dalla polizia, la quale  aveva ricevuto lamentele da una persona che sospettava che Vaughan-Spruce stesse pregando silenziosamente nella sua mente».

«LA MIA FEDE È CIÒ CHE SONO»

Dopo il suo arresto la donna ha parlato a cuore aperto: «È terribilmente sbagliato che io sia stata perquisita, arrestata, interrogata dalla polizia e accusata semplicemente di aver pregato nell’interiorità della mia mente. Le zone di censura pretendono di vietare le molestie, che sono già illegali. Nessuno dovrebbe mai subire molestie. Ma quello che ho fatto è stato tutt’altro che dannoso: stavo esercitando la mia libertà di pensiero, la mia libertà di religione, nella mia mente. Nessuno dovrebbe essere criminalizzato per aver pensato e pregato, in uno spazio pubblico nel Regno Unito». Parlando della sua missione, Vaughan-Spruce ha aggiunto: «Ho dedicato gran parte della mia vita a sostenere le donne in gravidanza, adoperandomi per tutto ciò che serviva affinché arrivassero a scegliere la vita e la maternità […] La mia fede è una parte centrale di ciò che sono, quindi a volte mi alzo o cammino vicino a una struttura per aborti e prego per questo problema. È qualcosa che ho fatto praticamente ogni settimana negli ultimi 20 anni della mia vita».

IL FILMATO SHOCK

Su Youtube è possibile guardare il filmato del fermo di Isabel Vaughan-Spruce (lo riportiamo di seguito), immobile e in silenzio su un marciapiede. L’incredibile dialogo intercorso e l’accuratissima perquisizione della 45enne sono il miglior spot alla notizia. Ad un certo punto del filmato è possibile ascoltare la domanda clou del poliziotto: «Stai pregando?». Risposta: «Potrei pregare nella mia testa». L’ufficiale di polizia chiede poi alla donna se sarebbe disposta a seguirlo per un interrogatorio. «Se posso scegliere, allora no», risponde Isabel, dopodiché si sente l’ufficiale replicare risoluto: «Sei in arresto». L’accusa? «Non aver rispettato l’ordine di protezione degli spazi pubblici». Da lì la perquisizione (perfino tra i capelli), seguita dall’ordine di salire in macchina.

LE REAZIONI (POCHE MA FERME)

Jeremiah Igunnubole, consulente legale di ADF per il Regno Unito ha osservato: «I nostri diritti e libertà fondamentali sono in pericolo se una perquisizione dei capelli è considerata “ragionevolmente necessaria” per un sospetto reato di preghiera, anche di preghiera silenziosa». L’avvocato Igunnubole ha poi aggiunto: «Mentre il disegno di legge sull’ordine pubblico in Parlamento rischia di passare, è fondamentale che l’esperienza di Isabel sia tenuta saldamente nella mente dei parlamentari. Nessuno dovrebbe essere criminalizzato per la pratica pacifica e innocua della propria fede, figuriamoci per i pensieri».

Sarcastico il commento di Ross Clarck, collaboratore del Times e dello Spectator: «Al netto della formidabile concorrenza – lockdown, ecc. – questo è l’abuso di potere più oltraggioso che si sia verificato in Gran Bretagna negli ultimi tempi». Adrian Hilton, insegnante e teologo inglese, riporta invece alla nuda realtà dei fatti: «Isabel Vaughan-Spruce non portava stendardi. Non aveva foto di bambini abortiti e non accendeva candele per una veglia sul marciapiede. È stata perquisita, arrestata, interrogata e accusata del reato di aver pregato silenziosamente nella sua testa. Questo è assolutamente scandaloso». Rod Dreher, autore de L’opzione Benedetto, commentando la notizia «sorprendente e orribile» ha ufficializzato quella che ormai non è che una lampante e dolorosa verità: «L’aborto è così sacro per il governo britannico che non è permesso rivolgersi a Dio in silenzio fuori da una clinica per aborti».

Gianna Jessen va in soccorso

A sottolineare il tratto altamente discriminatorio utilizzato contro Isabel Vaughan-Spruce, va aggiunto che come condizione per il rilascio dietro cauzione le è stato proibito di contattare un sacerdote amico (restrizione del tutto illegittima, che infatti è stata poi ritirata). «La libertà religiosa di Isabel – riporta sul suo profilo facebook Gianna Jessen, probabilmente la più nota attivista prolife al mondo, nata nonostante un aborto subito – è stata ulteriormente impedita in quanto le limitazioni ai diritti legate alla cauzione le impediscono ora di partecipare alla preghiera pubblica, anche al di fuori della zona soggetta a restrizioni, e questo per “prevenire ulteriori reati”. Ciò significa che se Isabel dovesse partecipare ad un servizio pubblico di Natale dove vengono offerte preghiere, potrebbe andare in prigione!». «Presumibilmente», conclude con amara ironia Gianna Jessen, la cui incredibile storia ha ispirato il film October baby, «la polizia non vuole che incoraggi altre persone a pensare in pubblico pensieri religiosi sbagliati sull’aborto».

Isabel Vaughan-Spruce – la donna attraverso la quale il Potere ha fatto sapere al mondo che perfino una preghiera silenziosa può diventare un crimine (lo “psicoreato” che Orwell inventò per il suo 1984) il 2 febbraio dovrà comparire davanti ai giudici della Corte di Birmingham.

(Foto: Screenshot Youtube)