Articolo da L’Eco di Bergamo su concerto-testimonianza di Debora Vezzani a Bergamo

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“Basta fidarsi e poi/l’amore vincerà” dice un brano di Debora Vezzani, cantautrice, a Bergamo il 26 febbraio alle 20,30 per un concerto-testimonianza al Teatro dell’oratorio di Boccaleone. Lo spettacolo, una tappa del tour “Come un prodigio” è organizzato dal Movimento per la vita di Bergamo con il sostegno del Centro di aiuto alla vita e del Forum bergamasco delle associazioni familiari.
La cantante Debora Vezzani nei suoi concerti alterna le canzoni al racconto della sua personale esperienza di vita, oltre che musicista è madre di tre bambini. Tocca molti temi che riguardano la promozione della vita, come il sostegno all’adozione, ma anche l’esperienza della scoperta della fede come possibilità di rinascita, che riempie la vita di senso.
“Con questo evento – spiega il Movimento per la vita – speriamo di raggiungere in particolare i giovani. Le canzoni di Debora Vezzani si cantano in molte parrocchie e gruppi giovanili. La sua testimonianza e un inno alla vita capace di toccare nel profondo le persone”.
Debora Vezzani è stata abbandonata alla nascita e ha sempre considerato la musica come un’occasione di rivincita nei confronti della vita. Si è diplomata in conservatorio in flauto traverso e ha fatto parte di alcuni gruppi musicali prima di trovare la propria strada come cantautrice. La scoperta della fede ha dato una direzione diversa alla sua vita, spingendola a intraprendere un’opera di evangelizzazione attraverso le sue canzoni.
L’iniziativa ha ottenuto l’adesione di molte associazioni e gruppi del territorio: 40 giorni per la vita Bergamo, Cav Alzano Lombardo, Cav Pisogne, Cav Seriate, Cif Costa Volpino, Famiglie per l’accoglienza Bergamo, Movimento per la vita Valle Cavallina, Rinnovamento dello Spirito diocesi di Bergamo. Tutti condividono, come sottolineano gli organizzatori “l’impegno di valorizzazione della vita e della famiglia” .
Si è svolto nel pomeriggio del 4 gennaio, all’ingresso dell’Ospedale di Treviglio, un presidio di preghiera e di testimonianza in difesa della vita. L’iniziativa rientra nella campagna di sensibilizzazione in difesa della vita nelle condizioni di fragilità ed è stata promossa dal movimento ‘40 Giorni per la Vita – coordinamento di Bergamo’ in collaborazione con l’associazione ‘Ora Et Labora In Difesa Della Vita’.
La preghiera si è svolta in modo pacifico e ordinato, protetta dalla discreta presenza di forze dell’ordine contro possibili attacchi. Tale intervento è stato tutt’altro che superfluo. È purtroppo accaduto in passato che la vista di cartelli che esprimono contrarietà all’aborto abbia suscitato aggressioni ‘sanzionatorie’. Il pretesto che giustificherebbe tali azioni violente è paradossalmente il contrasto alla violenza. Perché esporre cartelli contro l’aborto sarebbe di per sé un atto di violenza. A detta dei manifestanti, va invece precisata una verità: ‘non sono i cartelli che denunciano l’atrocità dell’aborto ad essere violenti ma è violenta la realtà che essi evocano. Perché l’aborto è un atto violento compiuto su un essere umano’.
Hanno partecipato a questa manifestazione di preghiera circa una quindicina di persone insieme al padre Giuseppe Locati – dell’Istituto Padri Bianchi di Treviglio e collaboratore del Popolo Cattolico – che ha offerto le sue meditazioni in accompagnamento ai santi misteri del Rosario e ha infine impartito a tutti gli oranti la sua benedizione.
Si segnala inoltre la partecipazione di don Angelo Rossi, cappellano dell’ospedale di Treviglio e la presenza del vescovo di Cremona, Antonio Napolioni, occasionalmente in visita all’ospedale.
Il portavoce del movimento ‘40 Giorni per la Vita – coordinamento di Bergamo’, ha specificato che questo incontro pacifico di preghiera e testimonianza si inserisce in un cammino della durata di 40 giorni che decorre dalla ricorrenza dei santi Innocenti Martiri del 28 dicembre scorso fino al prossimo 4 febbraio, data di celebrazione della Giornata Nazionale per la Vita.
In questo periodo si susseguiranno incessanti incontri di preghiera, tenuti da una trentina di associazioni, gruppi e persino monasteri aderenti alla campagna. Ad essi si aggiungono, oltre a manifestazioni pubbliche di carattere culturale, iniziative di carità e incontri di testimonianza (tra i quali rientra la dimostrazione davanti all’ospedale di Treviglio). Sono inoltre in programma proiezioni in cineteatri e parrocchie. In particolare, segnaliamo il film Unplanned, che sarà proiettato nell’oratorio di Ranica, basato sulla storia vera del cammino di pentimento e conversione di una ex dirigente di una clinica per aborti americana. Storia molto ben raccontata attraverso gli occhi della protagonista, che squarcia veli di ipocrisia presentando la squallida realtà così com’è.
Obiettivo di tutte queste iniziative è quello di far fiorire la cultura della vita umana, oggi sempre più attaccata in un contesto culturale che favorisce la soppressione di persone, soprattutto in condizioni di fragilità. Senza dimenticare un altro aspetto, che è quello della carità. Nell’ultima settimana della campagna verranno organizzate molte raccolte di fondi che saranno destinati a Centri di aiuto alla Vita o a Progetti Gemma per il sostegno economico a mamme incinte in difficoltà economica e sociale.
Anche quest’anno, si ripropone nel territorio bergamasco il cammino di azione e di preghiera ‘40 giorni per la Vita’, che è iniziato lo scorso 28 dicembre (ricorrenza dei Santi Innocenti Martiri) e terminerà il prossimo 4 febbraio (Giornata nazionale per la Vita).
Si tratta di un’organizzazione che promuove iniziative di preghiera,
testimonianza e carità e che riunisce molte associazioni e realtà del popolo pro-life.
Le modalità per offrire testimonianza in difesa della vita umana, soprattutto nelle situazioni di maggior fragilità, sono molteplici.
L’inizio di questo percorso è avvenuto lo scorso 28 Dicembre con varie iniziative: un presidio di testimonianza e sensibilizzazione dei passanti davanti all’ospedale di Treviglio, una affollata celebrazione presso il monastero di Montello con adorazione eucaristica, rosario e messa e, infine, una messa per la festa dei Santi Innocenti Martiri nella Cappella presso l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Alcuni momenti significativi hanno cercato di aggiungere a quest’ultimo evento uno slancio di speranza di cambiamento della cultura di morte, purtroppo molto diffusa nella nostra società. Una speranza che è stata riposta nel Signore con preghiere e digiuni e che darà frutto nella misura in cui il popolo della vita riuscirà a mostrare una via di luce, salvezza e fiducia ad un mondo sempre più pessimista e chiuso nei suoi egoismi.
La vita è un canto di gioia
La messa per la festa dei Santi Innocenti Martiri è stata preceduta da uno spazio musicale per la celebrazione della vita.
Su uno schermo posto vicino all’altare sono stati proiettati videoclip di canti dedicati a temi pro-life. Tutti i brani sono stati composti e interpretati da autrici che condividono gli obiettivi della campagna. La fruizione dei messaggi è stata facilitata al pubblico grazie all’aggiunta del testo alle immagini che accompagnavano i brani musicali.
Successivamente, durante l’offertorio della messa, sono stati portati all’altare grani di rosario sciolti che rappresentano una particolare forma di adesione all’iniziativa. Ciascuno di essi esprimeva l’offerta di un giorno di digiuno da parte di volontari: una rinuncia offerta a Dio per sostenere la causa, rimettendola con un atto d’amore e di speranza nelle Sue mani.
Da segnalare anche la presentazione all’altare di decine di piedini che riproducevano nelle stesse dimensioni quelli di creature nel grembo materno alla dodicesima settimana. Gli stessi piedini sono stati poi offerti a fine messa ai partecipanti, come segno non solo in ricordo della celebrazione, ma anche per sensibilizzare su un fatto: che i fratelli abortiti devono sempre rimanere una presenza nelle nostre coscienze.
Un cammino pieno di vitalità
Oltre agli incontri di preghiera, previsti in ogni giorno di questa campagna, sono da segnalare presidi di sensibilizzazione davanti ad ospedali in cui si praticano aborti e poi testimonianze di vario genere e incontri in cineteatri e parrocchie. È prevista anche la proiezione del film Unplanned, basato sulla storia vera del cammino di pentimento e conversione di una ex dirigente di una clinica per aborti americana. Storia molto ben raccontata attraverso gli occhi della protagonista, che squarcia veli di ipocrisia, presentando la squallida realtà così com’è.
Per maggiori informazioni sull’iniziativa bergamasca e sugli eventi programmati si rimanda al sito https://bergamo.40giorniperlavita.it
La celebrazione della Giornata Nazionale per la Vita il 5 febbraio, con l’offerta di primule protrattasi anche nella settimana seguente, ha coronato la campagna di preghiera, azione e testimonianza da noi incominciata il 28 dicembre scorso.
È dunque giunto il momento di interrogarci sul senso di quello che abbiamo fatto e sulle prospettive del nostro cammino.
Sui contenuti e le modalità delle nostre iniziative non occorre soffermarci: sono stati ampiamente promosse, divulgate e spesso relazionate sia sul nostro gruppo di whatsapp/mailing list che sul sito. Ci ha stupito inoltre lo spazio amichevole della stampa, molto al di là di quanto ci aspettavamo. Segno che siamo entrati nei radar dell’informazione; e questo può essere un segnale incoraggiante per azioni future.
Ecco, il punto che vorremmo mettere in luce è proprio questo: abbiamo iniziato a costruire una realtà che è stata per questo periodo e può continuare ad essere un punto di riferimento. Insomma, un ombrello o meglio un manto che può abbracciare l’impegno di tanti volontari pro-life.
Uniti contiamo e otteniamo di più! Lo ha dimostrato anche l’ultima iniziativa di offerta di primule a sostegno della Giornata Nazionale per la Vita. In Val Cavallina, ad esempio, il coinvolgimento di parroci e parrocchie ha permesso non solo di ottenere una raccolta di fondi eccezionale (circa 2800 euro) ma anche una efficace possibilità di sensibilizzare persone (con distribuzione di materiale illustrativo) e una grande visibilità dell’evento.
Le molteplici iniziative culturali (testimonianze, incontri, cineforum) hanno risvegliato o rinforzato le motivazioni a sostegno della vita umana, sempre più minacciata. In particolare, le due proiezioni del film Unplanned, che abbiamo sostenuto generosamente, hanno fatto breccia su molti cuori. Anche in persone distanti dalla nostra sensibilità pro-life; anche in moltissimi giovani che siamo riusciti a coinvolgere.
Tutte queste attività sono state preparate e agevolate dall’incessante “azione orante e contemplativa”. Rosari, messe, adorazioni eucaristiche, meditazioni, preghiere personali sono stati l’humus del terreno dal quale sono sgorgate piante che hanno dato molto frutto. “Humus”, lo ricordiamo è una parola che richiama alla terra ma etimologicamente si ricollega all’umiltà (humilitas) ed anche all’umanità (homo, hominis). Come a dire che l’uomo viene dal fango e solo riconoscendo la sua umiltà può elevarsi e realizzare più pienamente i progetti che Dio gli ha assegnato.
L’umiltà rimane il tratto che deve continuare a contraddistinguerci se vogliamo continuare il nostro cammino. E qui si aprono nuovi scenari per il futuro. Non sappiamo di preciso quello che faremo. Consegniamo il nostro progetto e tutto ciò che abbiamo realizzato al Signore. Lo doniamo anche al Vescovo di Ventimiglia – Sanremo e ai referenti e responsabili internazionali di “40 days for life”, riuniti nei prossimi giorni a Cracovia.
Spetterà a loro a valutare l’omogeneità e la ragion d’essere del nostro progetto in relazione alle regole e caratteristiche del progetto originario americano. Da parte nostra auspichiamo, in un modo o nell’altro, di tenere unita una realtà bergamasca che potrebbe consolidarsi e operare fruttuosamente in vari ambiti. Decideremo con umiltà: ci affideremo alla Provvidenza cercando però di non far mancare la nostra opera.
fonte: Libertà e persona
di Roberto Allieri
In vista della 45a GIORNATA NAZIONALE PER LA VITA, vogliamo rilanciare il video che Jacopo Coghe di Pro Vita e Famiglia ha trasmesso nell’ultima puntata di ‘Restiamo Liberi’.
Molti gli spunti accennati nel corso del breve audiovisivo. Si parte dall’appello per rendere la Giornata Nazionale per la Vita un’occasione di festa e testimonianza e si collega questa ricorrenza con altri importanti avvenimenti quasi concomitanti.
In primo luogo, la seguitissima March for Life, avvenuta a Washington il 20 gennaio scorso; si tratta della prima edizione dopo lo storico ribaltamento della sentenza Roe contro Wade che ha già prodotto la conseguenza di una drastica riduzione degli aborti.
In secondo luogo, la successiva Manifestazione per la Vita che è sfilata a Parigi Domenica scorsa (animata da molti giovani), in un contesto di feroce intolleranza ideologica e culturale che caratterizza, non da oggi, la Francia atea e cattolico-fobica.
Queste manifestazioni hanno dato voce ad un popolo che vuole promuovere una cultura della vita contro l’imperante cultura dello scarto.
Si tratta di una battaglia culturale che può essere vinta solo con tanto impegno e costanza, come stanno dimostrando molti gruppi pro-life americani; in primis, gli aderenti all’associazione “40 Days for Life” (oltre un milione solo negli USA) che con la preghiera e la testimonianza hanno scongiurato centinaia di migliaia di aborti e fatto chiudere parecchie cliniche abortiste. Ben vengano, nel solco di queste esperienze, le recenti iniziative partite anche in Italia e ispirate al modello americano (vedi “40 giorni per la Vita” QUI ).
Per creare i presupposti di un ribaltamento di mentalità, diventa importante scendere in piazza, farsi vedere e sentire, sensibilizzare i mass-media. Occorre, insomma, dimostrare che anche in Italia c’è un popolo che coraggiosamente si batte per dire Sì alla vita. Ecco allora la splendida opportunità della manifestazione nazionale per la Vita, che si terrà a Roma il prossimo 20 maggio.
Ognuno di coloro che hanno a cuore la difesa della vita umana deve fare la sua parte per rendere un successo questo evento di festa.
Solo entrando nei cuori delle persone e conquistando spazi di informazione non ostile potrà essere promossa con maggior forza anche una battaglia politica per affermare la dignità umana dal grembo materno al fine vita.
Per far comprendere, cioè, che non esistono vite inutili o non degne di essere vissute. Ogni persona ha uguale dignità. Laddove la dignità è offesa la soluzione è rimuovere le condizioni che la limitano, non eliminare le persone considerate indegne di vivere.
fonte: Bergamo Corriere.it
di Rosanna Scardi
L’attrice racconta come la sua vita è cambiata: dai film di Tinto Brass alla conversione: «Dio mi ha presa per mano». Questo weekend è in Bergamasca per «40 Giorni per la vita», comunità che si ispira al movimento antiabortista internazionale
Prima è arrivato il successo, negli Anni ’90, grazie alla commedia erotica «Così fan tutte» di Tinto Brass, la conduzione del Festival di Sanremo su richiesta di Pippo Baudo e fiction per Rai e Mediaset. Poi, il cambiamento di vita, una vera rivoluzione. Claudia Koll, nome d’arte di Claudia Maria Rosaria Colacione, si è avvicinata alla fede e ora si dedica ai più sfortunati. Oggi (29 gennaio 2022), alle 15.30, porterà la sua testimonianza di missionaria nel teatro dell’oratorio di Fiorano al Serio, Val Seriana, nell’incontro organizzato dalla parrocchia di San Giorgio Martire. Ieri sera, era a Ponteranica, sempre in Bergamasca, nella chiesa dei Padri Sacramentini, ospite dell’evento promosso da «40 Giorni per la vita-Bergamo», comunità che comprende oltre trenta gruppi di preghiera e che si ispira al movimento antiabortista internazionale «40 Days for life», nato nel 2004 in Texas: i 40 giorni di preghiera sono cominciati il 28 dicembre, festa dei Santi innocenti e si concluderanno il 5 febbraio, Giornata nazionale per la vita. L’incontro è stato preceduto dall’adorazione eucaristica e dal rosario per i bambini non nati e le loro mamme.
Koll, pochi giorni fa la Camera ha blindato la legge 194. La premier Giorgia Meloni ha ribadito che intende mantenerla così come è: a suo parere, la legge del 1978 va rivista?
«Non me la sento di pronunciarmi riguardo alla legge perché non ho le competenze necessarie. Vorrei però riproporre alla vostra riflessione due domande di San Giovanni Paolo II: “Come è possibile parlare ancora di dignità di ogni persona umana, quando si permette che si uccida la più debole e la più innocente? E chi è più debole della persona concepita e non ancora nata?”».
Lei è mamma di due ragazzi originari del Burundi: come le hanno cambiato la vita?
«Sono mamma affidataria. Jean Marie vive con me da quando aveva sedici anni e ora ne ha trenta. Nathanael ha sei anni. Hanno cambiato la mia vita come tutti i figli la cambiano alle madri. Sono un dono di Dio».
Quali sono i prossimi progetti della sua onlus, Le Opere del Padre?
«Le Opere del Padre si adopera per le persone indigenti in Africa tramite progetti di sostegno a distanza, scolarizzazione, aiuti per le esigenze primarie. In caso di malattie gravi, che non possono essere curate in Africa, provvediamo a far venire i malati in Italia. A Roma, abbiamo un servizio per le persone senza fissa dimora e le famiglie disagiate nel quartiere Fidene. Gestiamo anche due piccoli appartamenti in cui sono accolte persone in difficoltà. Il nostro prossimo progetto è la realizzazione di una piccola scuola dell’infanzia, a cui le madri disagiate possano affidare i loro figli mentre vanno a lavorare».
Ha mai pensato di prendere i voti?
«No».
Ha raccontato di aver deciso di fare l’attrice grazie a sua nonna che era cieca. Lei le descriveva le scene dei film, appassionandosi alle storie e all’umanità dei personaggi tanto da voler fare l’attrice. Non ha mai avuto rimpianti o il desiderio di tornare sul grande schermo?
«Veramente, non ho mai smesso di fare l’attrice. Negli ultimi anni non ho ricevuto proposte accettabili nei circuiti televisivi e cinematografici. Ho però continuato a lavorare in circuiti diversi, dove ho scoperto una nuova capacità interpretativa, grazie anche alla preghiera cristiana. La fede non impedisce a un’attrice di svolgere il proprio mestiere. Anzi. La aiuta a valorizzarlo».
Negli anni Duemila si è riavvicinata alla fede cattolica. Come è avvenuta la conversione?
«Dio ha avuto — e ha — nei miei confronti una pedagogia paziente e delicata. Mi ha presa per mano e accompagnata attraverso vari episodi importanti. Per esempio, quando, durante la ripresa di un film, per la prima volta ebbi difficoltà a far passare un’emozione d’amore e di dolore. Allora, Geraldine, la mia coach, mi disse: “Claudia, se non c’è verità nella tua vita, come può esserci nel tuo mestiere”. Fu un momento di consapevolezza importante. E, con la conversione, la verità fece ritorno sia nella mia vita che nel mio mestiere. E, sulla via della verità, poi arrivarono la libertà e la consapevolezza di essere figlia amata da Dio».
Alla fine degli anni ‘90 disse di no al set americano del film «L’avvocato del diavolo» con Al Pacino: si è pentita?
«Susan Strasberg, che è stata mia insegnante di recitazione e che mi conosceva bene, mi consigliò di non fare quel film in quanto non adatto alla mia sensibilità umana e artistica. Perché mi sarei dovuta pentire?».
Ranica (BG), 20 Gennaio 2023
Venerdì sera 20 gennaio 2023, il teatro dell’oratorio di Ranica ha accolto il professor Gandolfini, invitato a parlare su un tema purtroppo di scottante attualità: la radicalizzazione dei progetti pensati per minare l’istituzione famigliare e attentare alla vita umana nelle situazioni di fragilità.
Dopo una breve presentazione del portavoce del Coordinamento di Bergamo ’40 Giorni per la vita’, vivace
realtà locale che ha organizzato l’incontro insieme alla sede locale di Bergamo dell’Associazione ‘Family Day – Difendiamo i nostri figli APS’, l’avvocato Gamba ha avuto il compito di introdurre la serata.
Nel suo intervento ha messo in luce alcune paradossali situazioni determinate dallo stravolgimento del concetto di identità sessuale e dagli abusi e privilegi legati alla cosiddetta ‘transizione di genere’, aggiungendo però una nota positiva: il commento alla recente sentenza della Corte di Cassazione che chiude alla possibilità di trascrivere i certificati di nascita di figli nati da maternità surrogata. Pratica considerata addirittura degradante per le donne nelle motivazioni della sentenza.
L’attacco alla vita e alla famiglia, ha concluso l’avvocato Gamba, non vengono portati da extraterrestri ma dall’uomo che ha perso il senso dell’umano.
Ha preso poi la parola il professor Gandolfini precisando subito che un tema così vasto non può certo essere esaurito in una serata ma tuttalpiù affrontato con flash mirati a suscitare riflessioni.
Attingendo alla sua esperienza professionale e alle profonde conoscenze umane, legali, filosofiche, morali e scientifiche (in particolare neurobiologiche e psichiatriche), il professore ha illustrato una carrellata di situazioni in cui viene vilipeso l’uomo nei suoi diritti più inviolabili, sanciti peraltro dalla nostra Costituzione e riconosciuti (non creati!) dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948. A partire dalla pretesa del riconoscimento giuridico delle cosiddette ‘famiglie arcobaleno’, per scalzare il concetto di famiglia naturale fondata sul matrimonio, diluendo la concezione stessa di famiglia ad ogni tipo di legame sessuale, affettivo, empatico etc.
La famiglia invece, ha rimarcato Gandolfini, è naturale perché è il luogo dove si determina in modo naturale la procreazione, per mezzo dell’incontro di un uomo con una donna.
Particolare rilievo è stato poi dato dal relatore all’unica alternativa, moralmente accettabile, per dare una famiglia ad un figlio che non ce l’ha: l’istituto dell’adozione, particolarmente meritoria quando un bambino è disabile. Il professor Gandolfini può ben dir la sua in questo contesto avendo adottato sette figli. È quindi da condividere la sua preoccupazione per il crollo delle adozioni perché oggi è molto più comodo ricorrere alla fecondazione artificiale o all’utero in affitto, pratiche che riducono i figli ad oggetti di desiderio che si comprano, si scartano o si congelano.
Così pure è da raccogliere e diffondere l’accorata denuncia della grossa ‘balla’ di chi vuole spingere le adozioni da parte di gay sul presupposto che mancano gli adottanti e ci sono tanti bambini abbandonati che nessuno vuole. La realtà omessa è invece, secondo i dati Istat, che in Italia c’è solo un bambino adottabile a fronte di sei coppie che chiedono l’adozione. Altro che emergenza adozioni, pretesto per affrettare l’accesso di coppie omosessuali all’istituto dell’adozione! E purtroppo questa carenza di bambini adottabili deriva anche dal gran numero di aborti avvenuti in Italia negli ultimi 45 anni: oltre 6,5 milioni. E dalla mancata pubblicità alla possibilità per la madre di partorire in anonimato, specificamente prevista dalla legge 194/78 come una delle soluzioni alternative all’aborto.
L’aborto è ancora oggi sostenuto ostinatamente contro ogni evidenza scientifica da un’ideologia che vorrebbe ridurlo all’eliminazione di un grumo di cellule. Eppure basterebbe vedere un’ecografia per comprendere cos’è quell’esserino che si vuole eliminare. Ma se la realtà di un’ecografia è troppo evidente diventa anche inaccettabile perché sconfessa la grande menzogna e tutti gli inganni. E allora si insiste a trincerarsi dietro slogan del tipo ‘il corpo è mio e decido io’. Ma attenzione, dice Gandolfini come qualificato scienziato: tu donna puoi anche decidere di toglierti un neo o utilizzare il tuo corpo come credi. Ma non puoi disporre di un corpo che non è tuo, con un patrimonio cromosomico diverso (si chiama DNA, lo dice la scienza!), perché la creatura che porti in grembo è una persona diversa da te.
Il discorso di Gandolfini si è poi rivolto sul versante del fine vita, cominciando a commentare la recente proposta di legge in materia di suicidio medicalmente assistito.
L’intento di introdurre nel nostro ordinamento la legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio medicalmente assistito rappresenta, a suo avviso, un radicale e pericoloso cambio di paradigma di fronte alla malattia, alla cura e alla disciplina medica in generale. Sul piano culturale e antropologico si introduce il principio di disponibilità della vita umana, sulla base di un criterio di autodeterminazione senza limiti.
Gandolfini ha poi toccato un altro aspetto dell’eutanasia a dir poco agghiacciante. Sono infatti oggetto di discussione in Olanda e in Belgio proposte per permettere il cosiddetto aborto post partum, cioè la soppressione di bambini disabili alcuni mesi dopo la nascita (fattispecie giuridica presentata anche negli Stati Uniti). Lo chiamano aborto post-partum ma si tratta di infanticidio, perpetrato con mezzi eutanasici. La motivazione è pienamente coerente con le giustificazioni dell’aborto: se è legalmente ed eticamente ammissibile sopprimere un bambino down nel ventre materno sino al sesto o addirittura nono mese di gravidanza, perché non ammettere la stessa soluzione anche dopo la nascita? Cosa cambia? La coerenza di questa motivazione è essa stessa spiegazione della crudeltà dell’aborto: l’aborto al terzo o al sesto mese di gravidanza non è cosa diversa dall’infanticidio del bambino nato da sei mesi o da un anno. E’ sempre soppressione di un essere umano.
Insomma, riepilogando il discorso sino a qui fatto, secondo Gandolfini c’è un preciso piano per minare le fondamenta della società e, per attuare questo piano, per prima cosa si mina la vita.
Il professor Gandolfini in un altro flash ha poi ripreso il tema del suicidio assistito. Nel momento in cui questo si configuri come diritto, dall’altro versante corrisponderà un dovere di rendere effettivo questo diritto. E tale imposizione ricadrà su medici, calpestando i loro obblighi deontologici di salvaguardare la vita, non somministrare la morte ai pazienti e non dare esecuzione a prestazioni che contrastano con la lora coscienza o il loro convincimento clinico. Si pone quindi un grosso problema di obiezione di coscienza che le proposte di legge sino a qui succedute (peraltro il disegno di legge Bazoli nella scorsa legislatura è arrivato ad un passo dall’approvazione) hanno accuratamente omesso: o il medico accetta di farsi carnefice o quantomeno a cooperare ad una soluzione che contravviene i doveri deontologici professionali, oppure potrebbe andare incontro a sanzioni disciplinari e giuridiche.
Un ulteriore approfondimento è stato poi offerto dall’ospite in merito alla legge del 2017 intitolata ‘norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento’. Le DAT, secondo le intenzioni del legislatore, sarebbero una sorta di espressione di consenso (ad un certo trattamento od omissione di trattamento sanitario) manifestato ex ante, cioè prima che si manifesti una certa patologia.
Ma, ha spiegato Gandolfini, non funziona così. In realtà, il consenso si esprime sempre nell’attualità di una condizione medica, non in astratto per una situazione futura. E le spiegazioni del medico al paziente nonché le terapie consigliate devono essere riferite al caso clinico attuale e ai sintomi riscontrati. Oltretutto, un conto è immaginare un altro conto è vivere una certa situazione: le prospettive cambiano. Dall’alto della sua quarantennale conoscenza degli hospice bresciani, Gandolfini ha rivelato che nel corso del tempo su oltre 4000 pazienti in fin di vita che sono stati curati solo in due casi è stata chiesta l’eutanasia, e in entrambe i casi dai parenti! I malati invocano sempre di non essere abbandonati, di dare un senso alla sofferenza con il conforto umano e la vicinanza; e laddove non si arrivi a tanto può sopperire una corretta somministrazione della terapia del dolore. Ma anche qui l’ultima denuncia di Gandolfini: queste cure, ultimo presidio di pietà e solidarietà umana contro l’abbandono terapeutico, vengono malamente applicate o negate, nonostante siano state rese obbligatorie per legge.
Purtroppo, il rischio è che se si lasciano mescolare ingredienti come solitudine, sofferenza e abbandono ecco che si offre al malato un micidiale cocktail che si chiama disperazione. E quando una persona è disperata può essere pronta a tutto, proprio perché le è stato tolto ogni orizzonte di senso e speranza. Ma se invece c’è la possibilità di dare una risposta alla sofferenza fisica (e ce l’abbiamo, grazie alle cure palliative: oggi il dolore fisico è controllabile con una sedazione non terminale), se togliamo la sensazione di essere un peso e accompagniamo il moribondo, manifestando vicinanza e affetto, ecco che la disperazione lascia il posto ad una soluzione amorevole e dignitosa.
Il principio di tutela della vita è inderogabile, ha ribadito Gandolfini. Basta vulnerare il principio, introdurre una deroga e l’esperienza in altri Paesi dimostra che è solo questione di tempo e saltano tutti i limiti e tutti i paletti. Il male è come una slavina: inizia come una pallina piccola e diventa valanga.
Citando un medico olandese, pentito di essere stato pro-eutanasia fino a pochi anni prima, Gandolfini ha proposto questo ammonimento: ‘ L’eutanasia è contagiosa: una volta che è sul menù la gente la ordina’. A corollario di quanto spiegato, il professore ha poi voluto ricordare una serie di pronunciamenti papali e magisteriali, tra i quali spicca questa precisazione contenuta nella Lettera del 2020 ‘Samaritanus Bonus’ della Congregazione per la Dottrina della Fede:
L’eutanasia è un crimine contro la vita umana, un atto intrinsecamente malvagio in qualsiasi occasione o circostanza.
Un ultimo accorato appello, a conclusione dell’intervento, è stato lanciato per sottolineare l’importanza della presenza pubblica del mondo pro-life alla prossima manifestazione nazionale per la Vita, prevista a Roma il 20 maggio 2023.
SPUNTI PER CINEFORUM SUL FILM STILL LIFE
Martedì 17 Gennaio, nell’ambito delle iniziative promosse dal ‘Coordinamento 40 giorni per la vita’, si è tenuta la proiezione del film ‘Still Life’ seguita da cineforum. La pellicola si presta molto a riflessioni e discussioni e gli spettatori della serata si sono lasciati coinvolgere, dimostrando interesse e partecipazione alla proposta di approfondimento.
Per introdurre le tematiche oggetto di confronto e stimolare gli interventi, sono state offerte alcune considerazioni che riproponiamo con l’intento di restituire il clima in cui è stato impostato il dibattito.
Qui di seguito, più o meno nelle parole di Roberto Allieri, il discorso introduttivo del cineforum.
Ecco questo è il momento dell’approfondimento o cineforum. La differenza tra le due cose è che se parlo solo io siamo nel primo caso; se mi aiutate anche voi con qualche riflessione invece diventa un cineforum. Come premessa, lasciatemi dire che credo molto nella forza emotiva di questa pellicola, nella sua potenza dirompente nei cuori degli spettatori più attenti. Per questo ho chiesto uno spazio per un momento di riflessione.
Proviamo a commentare a caldo questa pellicola. Mi rendo conto che non è un film facile. Il tema non è dei più accattivanti e leggeri. Anzi è molto controcorrente. Perché, questo è fuori dubbio, non è un film per tutti.
E’ un film toccante ma solo per un pubblico che vuole essere toccato nelle corde più sensibili del cuore, che vuole che gli venga ricordata la sua umanità. E questo è un tipo di opportunità che il cinema riesce bene a risvegliare o sollecitare.
Direi che per tutti essere qui stasera è quasi una sfida. Che è prima di tutto quella di riuscire a sopportare ritmi lenti; poi quella di seguire una storia che ha per protagonisti depressi e nella solitudine, personaggi dai quali è bene stare alla larga, secondo i canoni della nostra società. La sfida è però anche riuscire a cogliere la perla, le lezioni di vita che fanno crescere, da un mare di disperazione e squallore. Un’altra sfida o forse meglio una scoperta è arrivare a capire che un film che si occupa di tematiche così tristi non è per forza di cose un film deprimente. Ci sono momenti tristi, ma questo lungometraggio ti lascia con un forte senso di valore per la vita e di attenzione per il tuo vicino, il tuo prossimo.
Vi dirò che per documentarmi meglio sulla pellicola ho visto più volte una intervista al regista Uberto Pasolini, tratta dai contenuti extra del DVD in commercio. Alcuni suoi commenti sono così preziosi e vividi che sarebbero da seguire attentamente ascoltando le sue parole. Siccome non è possibile ora proporre questa testimonianza diretta, vorrei comunque attingere alla stessa riproponendo in sintesi alcuni spunti. Nella speranza che possano suscitare qualche riflessione o qualche vostro intervento successivo.
Ecco dunque qualche considerazione suggerita da Pasolini:
Ebbene ognuno di questi spunti meriterebbe un approfondimento ma non ne abbiamo il tempo. Per adesso li lascio in sospeso, come spunto per vostre meditazioni.
Vorrei ora passare a un secondo gruppo di considerazioni sul protagonista John May, addetto ai funerali comunale. E’ il personaggio principale del film: anche lui, come quelli di cui si occupa, è una persona consapevole che potrebbe morire in solitudine ed essere sepolto senza nessuno presente al suo funerale.
La caratterizzazione del personaggio è splendida e Pasolini nell’intervista spiega molte cose. Ne viene fuori una figura così ricca di umanità che lascia intravedere molto altro in aggiunta a quello che vediamo nel film. Succede un po’ come quando una poesia spalanca finestre, dalle quali ognuno affacciandosi riesce a cogliere particolari propri, non sempre voluti o pensati dall’autore. E allora vi dico quello che ci vedo io in John May, guardando dalle finestre che ci spalanca.
Per me John May incarna inconsapevolmente lo stile del santo cristiano. Nei suoi occhi c’è lo sguardo di Dio sull’uomo, l’attenzione verso i dimenticati, umiliati e oppressi. Il rispetto di ogni singola vita, nella sua irrepetibilità e unicità, della dignità di ogni persona, soprattutto nelle situazioni di fragilità. Pensiamo alla grandezza d’animo di quando nel film, si affanna a documentarsi sulle persone per preparare i suoi dossier. Che non sono atti burocratici, perché per lui i dettagli di una foto o di una testimonianza scritta non sono aridi documenti ma strumenti per ricostruire il senso di una vita e darle dignità.
E poi pensiamo anche ai meravigliosi sermoni funebri puntigliosamente preparati da John May per rispettare fino in fondo persone che meritano un commiato speciale, fatto con umanità. Sono un puro atto di amore, tanto cristallino e gratuito quanto più dedicati a gente sconosciuta.
John May sembra essere solo ma non lo è (ne avremo conferma nella scena finale). Tra la l’altro, mi piace sottolineare l’immagine di John May quando viene travolto dall’autobus. C’è un primo piano e lui sorride. Perché sorride? Nella mia interpretazione dico che lui vede i suoi amici che stanno arrivando per accompagnarlo nell’aldilà. Noi li vedremo alla fine del film. John May forse li vede già lì. E’ questa la spiegazione del suo sorriso? Bisognerebbe chiederlo al regista.
Dunque, la famiglia di John May sono i suoi clienti. Nel suo album di foto ci sono le loro foto: è veramente struggente e a me ricorda un’attitudine di tanti santi: anche per loro la famiglia sono le persone che incontrano, perché nei loro volti riescono a percepire il volto di Dio. John May ama talmente i suoi amici clienti che arriva persino a cedere il suo posto assegnato in cimitero a uno di questi, nonostante non lo abbia mai conosciuto in vita. Questo è amore puro, questa è autentica santità, carità e pietà cristiana!
John May può essere quindi considerato modello di virtù cristiana, al di là delle intenzioni del regista Pasolini che credo sia ateo o agnostico. L’invito che nasce da questo film è, sempre secondo la mia interpretazione, fare nostro lo stile di John May, curvarsi sul prossimo sofferente alla ricerca del volto di Dio.
Ecco, il film è una miniera di spunti ma devo fermarmi qui. Vorrei invece che, sulla base di queste riflessioni, ma anche liberamente cogliendo altri particolari, qualcuno di voi aggiungesse il suo contributo. Magari anche in contrapposizione alle mie considerazioni. Sarebbe interessante valutare punti di vista diversi. Preciso che quello che voglio non è necessariamente una domanda con risposta. Non voglio fare il conferenziere, l’esperto tuttologo che risponde alle domande.
Mattina del 12 gennaio 2023 – Monastero Suore di Montello (Bg).
In ginocchio davanti all’Eucaristia esposta, cerco di trovare il modo migliore per mettermi in sintonia con il mio Dio. E’ un colloquio nel quale vorrei esprimere la mia vicinanza e riconoscenza in maniera spontanea, diretta. Non sempre mi è facile.
Ed ecco che affiora alla mente il mio gatto che ha voluto salutarmi anche questa mattina, come tutte le mattine. Accucciato vicino a me davanti alla stufa, mi guardava con le pupille dilatate, abbassando e alzando lentamente le palpebre con una specie di sorriso gattesco. Il segnale di affetto veniva poi accompagnato dal gradito dono delle strusciate contro le mie gambe; e sostenuto ancora di più dalle fusa, le sue vibrazioni di gratitudine, espresse con discrezione. A me sembrano una forma di preghiera del gatto al suo padrone.
Certo, non sempre queste “preghiere” sono disinteressate. A volte sono un po’ opportunistiche perché mi sollecitano a riempire la scodella di cibo. Ma anche noi cristiani quando preghiamo siamo un po’ opportunisti perché chiediamo sempre. Del resto, il nostro Dio non disprezza di ascoltarci, anche se sa quello di cui abbiamo bisogno, prima che glielo chiediamo.
E allora ho pensato: questo atteggiamento che mi insegna il mio gatto è un magnifico modo per incontrare e salutare qualcuno che si ama.
Che bello se anch’io riuscissi a fare le fusa al mio Signore, a sentire le sue carezze e il suo abbraccio mentre mi struscio su di Lui! Anche un cane poi avrebbe qualcosa da suggerirci, in merito a come manifestare devozione e fedeltà. E che dire della sua incrollabile fiducia nelle provvidenziali cure che il padrone non gli farà mancare?
Ma non è il caso di addentrarsi troppo in queste disquisizioni, poco opportune quando si parla di un aspetto della fede che richiama il rispetto reverenziale.
Lo so, non sono considerazioni di fine teologia e mi vergogno un po’ a confessarle. Non è certo mia intenzione rappresentare Dio come padrone né l’uomo come servo umiliato. A me basta cogliere nelle fusa e nello scodinzolare il segno della gioia più pura e cercare di offrire al mio Dio qualcosa di simile, nel modo in cui un uomo sa più pienamente riconoscersi mendicante di amore, mendicante di Grazia.