1

“Come un prodigio”: concerto di Debora Vezzani al teatro dell’oratorio di Boccaleone

Redazione·18 Febbraio 2025

Debora Vezzani

“Basta fidarsi e poi/l’amore vincerà” dice un brano di Debora Vezzani, cantautrice, a Bergamo il 26 febbraio alle 20,30 per un concerto-testimonianza al Teatro dell’oratorio di Boccaleone. Lo spettacolo, una tappa del tour “Come un prodigio” è organizzato dal Movimento per la vita di Bergamo con il sostegno del Centro di aiuto alla vita e del Forum bergamasco delle associazioni familiari.

La cantante Debora Vezzani nei suoi concerti alterna le canzoni al racconto della sua personale esperienza di vita, oltre che musicista è madre di tre bambini. Tocca molti temi che riguardano la promozione della vita, come il sostegno all’adozione, ma anche l’esperienza della scoperta della fede come possibilità di rinascita, che riempie la vita di senso.

Ogni concerto è un inno alla vita

“Con questo evento – spiega il Movimento per la vita – speriamo di raggiungere in particolare i giovani. Le canzoni di Debora Vezzani si cantano in molte parrocchie e gruppi giovanili. La sua testimonianza e un inno alla vita capace di toccare nel profondo le persone”.

Debora Vezzani è stata abbandonata alla nascita e ha sempre considerato la musica come un’occasione di rivincita nei confronti della vita. Si è diplomata in conservatorio in flauto traverso e ha fatto parte di alcuni gruppi musicali prima di trovare la propria strada come cantautrice. La scoperta della fede ha dato una direzione diversa alla sua vita, spingendola a intraprendere un’opera di evangelizzazione attraverso le sue canzoni.

L’iniziativa ha ottenuto l’adesione di molte associazioni e gruppi del territorio: 40 giorni per la vita Bergamo, Cav Alzano Lombardo, Cav Pisogne, Cav Seriate, Cif Costa Volpino, Famiglie per l’accoglienza Bergamo, Movimento per la vita Valle Cavallina, Rinnovamento dello Spirito diocesi di Bergamo. Tutti condividono, come sottolineano gli organizzatori “l’impegno di valorizzazione della vita e della famiglia” .




Come un prodigio – articolo di presentazione dell’evento




Giornata per la Vita 2025 – Proposta per un cammino di preparazione

Cercherò di essere sintetico: questa chat (alla quale aderiscono ad oggi 82 membri) è stata creata a fine ottobre 2022 a supporto della campagna 40 Giorni per la Vita, un progetto di preghiera, carità ed eventi culturali che è stato sostenuto con successo nei 40 giorni che sono culminati nella Giornata per la Vita del 2023 e del 2024. Se consultate il sito https://bergamo.40giorniperlavita.it troverete tutti gli eventi, articoli, approfondimenti e gruppi aderenti.
Quest’anno il sottoscritto Roberto Allieri, Simone Mondiali, Alba Baroni ed altri abbiamo deciso di focalizzare l’azione di vari gruppi di Bergamo che sostengono la vita, la famiglia e la preghiera su un altro ambizioso percorso.
Grazie alla nomina di Simone Mondiali come presidente del Forum delle Associazioni Familiari di Bergamo e a seguito della costituzione di un rinnovato e coeso Consiglio Direttivo (del quale, tra altri, facciamo parte io e Alba) vogliamo ora puntare a realizzare iniziative che abbiano una maggiore rilevanza pubblica, auspicando inoltre un coinvolgimento e supporto della Diocesi. Ricordo che il Forum è emanazione voluta e sostenuta dalla CEI e prevede la partecipazione di un referente della Curia in qualità di assistente spirituale. A Bergamo raccoglie una quindicina di associazioni e vorremmo allargare la partecipazione.
Dunque, vi invito a seguire e sostenere gli eventi che cercheremo di preparare nei prossimi mesi ed anni. Il primo di questi è un cammino di preparazione alla Giornata Nazionale per la Vita. Manca il tempo per organizzarci adeguatamente come abbiamo fatto nel biennio precedente. Ma una proposta semplice e significativa ci sarebbe già. Si articola in tre iniziative.
La prima: partecipazione alla celebrazione del 28 dicembre, Messa dei Santi Innocenti Martiri. Si terrà all’ospedale di Bergamo alle ore 18 con la partecipazione del coro di Gazzaniga e sarà preceduta alle 17 dall’Adorazione eucaristica, a cura di frate Luca Mantovani.
La seconda: preparazione nei dieci giorni antecedenti la celebrazione della Giornata Nazionale per la Vita (in calendario al 2 febbraio) di un cammino di preghiera al quale possono aderire i gruppi che hanno partecipato nelle scorse campagne 40 GPLV. Articolato, definito e pubblicizzato con le stesse modalità dello scorso anno o su questa chat.
La terza: in occasione della celebrazione della Giornata per la Vita a febbraio, organizzazione di iniziative parrocchiali, a cura di volontari e associazioni locali: banchetti per offrire primule e materiale illustrativo ovvero altre iniziative culturali. Con destinazione dei ricavati a Progetti Gemma o ad associazioni che promuovano la vita o sostengano la natalità.
Ci aggiorneremo nei prossimi giorni, sia sul sito che nei social, per definire adesioni, raccogliere suggerimenti e per altre informazioni.

Roberto Allieri




Il diritto di vivere viene prima di tutti gli altri

di Roberto Allieri

Prendo spunto per questa riflessione, da un contestato convegno alla Camera dei Deputati, promosso nei giorni scorsi per presentare un libro dal titolo ‘Biopoetica. Breve critica filosofica all’aborto e all’eutanasia’, che ha sollevato un vespaio di polemiche virulente.

Come spiegato in questo articolo (QUI)  il punctum dolens che ha destato maggior putiferio nei mass-media, tutti ormai allineati nel sostegno all’aborto, è stata la considerazione che l’aborto è eticamente ingiusto e non è un diritto. Da qui apriti cielo e anatemi laicisti a profusione.

Mi permetto dunque alcune considerazioni che in Francia, tipico modello di tolleranza e di libertà di pensiero, sarebbero sanzionate penalmente come ‘intralcio al diritto all’aborto’. 

L’aborto è un diritto o una tragedia da evitare?

L’aborto è prima di tutto una tragedia da evitare. E questo, teoricamente, dovrebbe mettere d’accordo tutti. È la maternità che va promossa, non certo l’aborto. Eppure, nei consultori e negli ambienti ospedalieri dove si praticano aborti la presenza di volontari pro-life che possano ‘promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna’, ‘offrire possibili soluzioni dei problemi’ e ‘aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza’ (cito testualmente passaggi dell’articolo 5 della L. 194) viene perlopiù preclusa od ostacolata.

Infatti la legge 194, oltre a prevedere molte disposizioni a supporto della madre per contrastare l’opzione dell’aborto, sin dal titolo fa precedere la tutela della maternità all’aborto (‘Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza’). La possibilità di abortire concessa dal legislatore è un po’ come la possibilità di detenere droghe per uso personale: è una facoltà permessa dall’ordinamento giuridico ma non certo un comportamento da incentivare. Una facoltà con molti limiti, che si vorrebbero ignorare.

Ad esempio, all’articolo 18 della legge 194 è prevista la reclusione da 4 a 8 anni per chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna. Per chi banalizza l’aborto e sbandiera questo atto come una conquista sociale è bene ricordare questa norma che in certi casi arriva a prevedere l’aborto come un crimine. 

Certo, ciò che viene punito da quella norma è la forzatura del consenso, che dovrebbe essere riconducibile solo alla madre. Ma allora qui si apre il capitolo del consenso informato, cioè dei requisiti che lo configurano. E si potrebbe discutere su quegli aborti indotti senza rispettare il diritto ad avere una informazione piena, consapevole e veramente informata sull’entità che si vuole abortire e sulle conseguenze fisiche e psicologiche dell’aborto.

Ascoltare un cuore che batte o vedere un’ecografia della creatura in grembo (e qui richiamo la promozione della recente iniziativa di legge popolare ‘Cuore che batte’) restituisce un segnale scientifico e oggettivo che può aiutare a qualificare la natura del concepito. Se per una madre guardare la creatura che porta in grembo o ascoltare il suo cuoricino mettono in crisi le proprie convinzioni sulla scelta di abortire, vuol dire che queste persuasioni non erano poi così salde o che la madre non aveva considerato l’altra faccia della medaglia. Dunque, ci si può domandare: il suo consenso a questa tragica decisione era davvero pienamente informato?

Ai tenaci difensori della Legge 194/78 proporrei un assist per rilanciare una sua norma: se l’articolo 18 prevede una forte condanna dell’aborto forzato, perché non estendere la stessa disposizione a quei casi in cui le forzature sono compiute sulle donne per convincerle ad assumere pillole abortive sino al secondo mese di gravidanza? Se una donna viene spinta a quel tipo di aborto fai da te, ancora più grave di quello ospedaliero perché compiuto nella solitudine e con rischi e conseguenze che non vengono pienamente spiegati, non si può configurare una responsabilità in capo a chi la circuisce?

Oscurantista chi?

Le scomposte reazioni al convegno sull’aborto alla Camera hanno portato a denunciare contro chi definisce ingiusto l’aborto un presunto atteggiamento persecutorio e di oscurantismo. Sappiamo bene che, per qualcuno, spessissimo le accuse che si lanciano su avversari rivelano quelli che sono i propri atteggiamenti o propositi. Così, per esempio, quando si accusa la controparte di fascismo è per coprire proprie intimidazioni o imposizioni dittatoriali; quando si denunciano la violenza e le discriminazioni è per mascherare i propri atteggiamenti violenti e discriminatori; quando ci si batte contro le censure o si invoca il controllo delle fake news è per poter meglio censurare o lasciare spazio incontrastato alle proprie informazioni ‘addomesticate’.

Dunque, detto questo, come commentare le accuse di oscurantismo se non considerandole come rivelatrici su di sé di quell’atteggiamento che si vorrebbe stigmatizzare?

Se oscurantismo significa nascondere una verità scomoda, si pensi in questo caso alla questione cruciale della natura del concepito. In fondo tutta la questione si gioca lì: se l’embrione è un grumo di cellule allora l’aborto è l’eliminazione di spazzatura che può anche finire nel bidone dell’immondizia. Ma se quello è un essere umano allora cambia tutto.

Questo discrimine non può essere lasciato alla discrezionalità o alla soggettività: se consideriamo le varie normative in materia si riscontrerà che i vari Stati consentono l’aborto con limiti diversi dello stato di gestazione. Ciò distingue un prima, in cui la creatura abortita ha uno status sub umano, da un dopo in cui acquisisce una più piena dignità umana. Ma questo limite è sempre del tutto arbitrario, soggettivo o convenzionale. Anche il messaggio della Conferenza Episcopale Italiana per la 46° Giornata Nazionale per la Vita ribadisce queste contraddizioni in alcuni passaggi che è opportuno richiamare: ‘…chi tenta di definire un tempo in cui la vita nel grembo materno inizi ad essere umana si trova sempre più privo di argomentazioni, dinanzi alle aumentate conoscenze sulla vita intrauterina… Quando poi si stabilisce che qualcuno o qualcosa possieda la facoltà di decidere se e quando una vita abbia il diritto di esistere, arrogandosi per di più la potestà di porle fine o di considerarla una merce, risulta in seguito assai difficile individuare limiti certi, condivisi e invalicabili. Questi risultano alla fine arbitrari e meramente formali.’ 

Eppure, ci sarebbe un criterio sicuro e oggettivo per dirimere la questione, che chiama in causa la scienza, quella vera. Il criterio che identifica un essere umano è il suo DNA e il momento in cui si forma il DNA è quello determinante. La vita umana incomincia con il concepimento: negare questo è oscurantismo.

Una volta iniziata l’avventura della vita, dovrebbe essere chiaro che l’aborto è sempre la soppressione di un essere umano (tale è chi ha un corredo cromosomico umano), non di una pianta o di chissà cos’altro. Negarlo è oscurantismo.

E l’embrione non può avere una diversa protezione o riconoscimento a seconda di quanto è grosso o di quanto è bello. La dignità non si misura a chili ne è commisurata all’aspetto estetico. Se chi è più grosso vale di più allora smettiamo di condannare il bullismo. Se invece vale di più tanto più assomiglia ad un bambolotto, allora smettiamo di condannare il body shaming o le discriminazioni estetiche che privilegiano i belli. Negarlo è oscurantismo. 




All’ospedale di Treviglio si prega per difendere la vita

Si è svolto nel pomeriggio del 4 gennaio, all’ingresso dell’Ospedale di Treviglio, un presidio di preghiera e di testimonianza in difesa della vita. L’iniziativa rientra nella campagna di sensibilizzazione in difesa della vita nelle condizioni di fragilità ed è stata promossa dal movimento ‘40 Giorni per la Vita – coordinamento di Bergamo’ in collaborazione con l’associazione ‘Ora Et Labora In Difesa Della Vita’.

La preghiera si è svolta in modo pacifico e ordinato, protetta dalla discreta presenza di forze dell’ordine contro possibili attacchi. Tale intervento è stato tutt’altro che superfluo. È purtroppo accaduto in passato che la vista di cartelli che esprimono contrarietà all’aborto abbia suscitato aggressioni ‘sanzionatorie’. Il pretesto che giustificherebbe tali azioni violente è paradossalmente il contrasto alla violenza. Perché esporre cartelli contro l’aborto sarebbe di per sé un atto di violenza. A detta dei manifestanti, va invece precisata una verità: ‘non sono i cartelli che denunciano l’atrocità dell’aborto ad essere violenti ma è violenta la realtà che essi evocano. Perché l’aborto è un atto violento compiuto su un essere umano’.

Hanno partecipato a questa manifestazione di preghiera circa una quindicina di persone insieme al padre Giuseppe Locati – dell’Istituto Padri Bianchi di Treviglio e collaboratore del Popolo Cattolico – che ha offerto le sue meditazioni in accompagnamento ai santi misteri del Rosario e ha infine impartito a tutti gli oranti la sua benedizione.

Si segnala inoltre la partecipazione di don Angelo Rossi, cappellano dell’ospedale di Treviglio e la presenza del vescovo di Cremona, Antonio Napolioni, occasionalmente in visita all’ospedale.

Il portavoce del movimento ‘40 Giorni per la Vita – coordinamento di Bergamo’, ha specificato che questo incontro pacifico di preghiera e testimonianza si inserisce in un cammino della durata di 40 giorni che decorre dalla ricorrenza dei santi Innocenti Martiri del 28 dicembre scorso fino al prossimo 4 febbraio, data di celebrazione della Giornata Nazionale per la Vita.

In questo periodo si susseguiranno incessanti incontri di preghiera, tenuti da una trentina di associazioni, gruppi e persino monasteri aderenti alla campagna. Ad essi si aggiungono, oltre a manifestazioni pubbliche di carattere culturale, iniziative di carità e incontri di testimonianza (tra i quali rientra la dimostrazione davanti all’ospedale di Treviglio). Sono inoltre in programma proiezioni in cineteatri e parrocchie. In particolare, segnaliamo il film Unplanned, che sarà proiettato nell’oratorio di Ranica, basato sulla storia vera del cammino di pentimento e conversione di una ex dirigente di una clinica per aborti americana. Storia molto ben raccontata attraverso gli occhi della protagonista, che squarcia veli di ipocrisia presentando la squallida realtà così com’è.

Obiettivo di tutte queste iniziative è quello di far fiorire la cultura della vita umana, oggi sempre più attaccata in un contesto culturale che favorisce la soppressione di persone, soprattutto in condizioni di fragilità. Senza dimenticare un altro aspetto, che è quello della carità. Nell’ultima settimana della campagna verranno organizzate molte raccolte di fondi che saranno destinati a Centri di aiuto alla Vita o a Progetti Gemma per il sostegno economico a mamme incinte in difficoltà economica e sociale.




“40 GIORNI PER LA VITA”! Parte la nuova campagna nel territorio bergamasco.

Anche quest’anno, si ripropone nel territorio bergamasco il cammino di azione e di preghiera ‘40 giorni per la Vita’, che è iniziato lo scorso 28 dicembre (ricorrenza dei Santi Innocenti Martiri) e terminerà il prossimo 4 febbraio (Giornata nazionale per la Vita). 

Si tratta di un’organizzazione che promuove iniziative di preghiera, 

testimonianza e carità e che riunisce molte associazioni e realtà del popolo pro-life. 

Le modalità per offrire testimonianza in difesa della vita umana, soprattutto nelle situazioni di maggior fragilità, sono molteplici.

L’inizio di questo percorso è avvenuto lo scorso 28 Dicembre con varie iniziative: un presidio di testimonianza e sensibilizzazione dei passanti davanti all’ospedale di Treviglio, una affollata celebrazione presso il monastero di Montello con adorazione eucaristica, rosario e messa e, infine, una messa per la festa dei Santi Innocenti Martiri nella Cappella presso l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Alcuni momenti significativi hanno cercato di aggiungere a quest’ultimo evento uno slancio di speranza di cambiamento della cultura di morte, purtroppo molto diffusa nella nostra società. Una speranza che è stata riposta nel Signore con preghiere e digiuni e che darà frutto nella misura in cui il popolo della vita riuscirà a mostrare una via di luce, salvezza e fiducia ad un mondo sempre più pessimista e chiuso nei suoi egoismi.

La vita è un canto di gioia

La messa per la festa dei Santi Innocenti Martiri è stata preceduta da uno spazio musicale per la celebrazione della vita. 

Su uno schermo posto vicino all’altare sono stati proiettati videoclip di canti dedicati a temi pro-life. Tutti i brani sono stati composti e interpretati da autrici che condividono gli obiettivi della campagna. La fruizione dei messaggi è stata facilitata al pubblico grazie all’aggiunta del testo alle immagini che accompagnavano i brani musicali.

Successivamente, durante l’offertorio della messa, sono stati portati all’altare grani di rosario sciolti che rappresentano una particolare forma di adesione all’iniziativa. Ciascuno di essi esprimeva l’offerta di un giorno di digiuno da parte di volontari: una rinuncia offerta a Dio per sostenere la causa, rimettendola con un atto d’amore e di speranza nelle Sue mani. 

Da segnalare anche la presentazione all’altare di decine di piedini che riproducevano nelle stesse dimensioni quelli di creature nel grembo materno alla dodicesima settimana. Gli stessi piedini sono stati poi offerti a fine messa ai partecipanti, come segno non solo in ricordo della celebrazione, ma anche per sensibilizzare su un fatto: che i fratelli abortiti devono sempre rimanere una presenza nelle nostre coscienze.

Un cammino pieno di vitalità

Oltre agli incontri di preghiera, previsti in ogni giorno di questa campagna, sono da segnalare presidi di sensibilizzazione davanti ad ospedali in cui si praticano aborti e poi testimonianze di vario genere e incontri in cineteatri e parrocchie. È prevista anche la proiezione del film Unplanned, basato sulla storia vera del cammino di pentimento e conversione di una ex dirigente di una clinica per aborti americana. Storia molto ben raccontata attraverso gli occhi della protagonista, che squarcia veli di ipocrisia, presentando la squallida realtà così com’è.

Per maggiori informazioni sull’iniziativa bergamasca e sugli eventi programmati si rimanda al sito https://bergamo.40giorniperlavita.it




Pregano davanti all’abortificio, scatta la furia rossa del governo

Fonte: Nuova Bussola Quotidiana – articolo di Luca Volontè del 2-1-2024

Nella Spagna di Sanchez e della sua maggioranza social comunista si viene arrestati solo per avere, un giorno all’anno, recitato il Rosario nei pressi delle cliniche abortiste, alle femministe invece ogni minaccia e violenza è concessa e con la futura approvazione di una legge che liberalizza l’aborto sino alla nascita, per i pro life e i credenti si avvicinano le catacombe.

Lo scorso 28 Dicembre, memoria dei Santi Innocenti, i pro vida spagnoli avevano organizzato due manifestazioni di preghiera, “armati” di santo Rosario, si erano dati appuntamento in diverse città del paese nei pressi delle cliniche abortiste e a Madrid dinnanzi alla “Dator”, il più grande abortificio della capitale. Per mantenere l’ordine pubblico, il governo social-comunista spagnolo ha inviato 5 furgoni e 20 agenti, dispiegati per evitare scontri tra gli oranti cattolici e la marmaglia delle femministe abortiste accorse a difesa dell’omicidio degli innocenti.

Le intenzioni della polizia erano apparentemente buone ma, alla prova dei fatti, gli unici a finire nel mirino sono stati proprio coloro che pregavano, mentre le femministe hanno avuto mano libera di agire. In totale, circa 300 persone sono scese in piazza tra Madrid e Saragozza per recitare il Rosario per i bambini abortiti che in Spagna sono più di 99.149 all’anno, secondo l’ultimo studio dell’Istituto per la Politica Familiare (IPF), più di 253 aborti al giorno, uno ogni 5 minuti.

«Siamo venuti a chiedere che la vita venga difesa, questa battaglia è culturale ma deve essere anche spirituale», ha spiegato alla agenzia di stampa “ZENIT” un giovane di 25 anni, mentre si recava alla clinica Dator di Madrid per unirsi all’appello della piattaforma “La preghiera non è un crimine” e per partecipare al rosario che era stato indetto. Dalla primavera dello scorso anno, con l’approvazione della Ley Orgánica 4/2022 del 12 aprile di riforma del Codice penale, si criminalizza le molestie alle donne che si recano in clinica per l’interruzione volontaria della gravidanza, creando l’articolo 172 quater. Questa legge punisce con la reclusione da tre mesi a un anno o con il lavoro di pubblica utilità da 31 a 80 giorni chiunque, al fine di ostacolare il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, molesti una donna con atti molesti, offensivi, intimidatori o coercitivi, minando la sua libertà.

Le stesse pene sono comminate se le molestie sono rivolte a professionisti sanitari, operatori o dirigenti di centri autorizzati a praticare l’aborto. All’appello del movimento pro life hanno risposto, per altro verso, anche i gruppi femministi che vogliono trasformare l’aborto in un diritto, rendendo inevitabile lo scontro: i cattolici con il rosario in mano e alzando la voce, mentre le femministe urlavano grida offensive sia ai cattolici che alle persone riunite. «Bruceremo la Conferenza episcopale, con tutti i vescovi dentro», «Via i rosari dalle nostre ovaie», «Che barbarie che chi non partorisce mai ci proibisca di abortire», sono state queste le minacce che facevano da controcanto alle litanie alla Madonna, mentre quelle stesse femministe cecavano indisturbate di intimidire i cattolici.




Battito del cuore: unica possibilità di esprimere una voce umana da parte di chi non ha voce

di Roberto Allieri

Ringrazio la redazione per l’opportunità concessami di riproporre (con piccole aggiunte) un articolo, pubblicato in data 14-9-23 sul blog di Paciolla ‘Oltre il giardino’, a sostegno della campagna di raccolta firme ‘Un cuore che batte’. 
Un’iniziativa poco compresa, anche dagli stessi cattolici e attivisti del mondo pro-life, complice la mancanza di adeguate spiegazioni. È necessario dissipare dubbi e pretesti, spesso inconsistenti. Seguiranno pertanto altri articoli, con precisazioni a beneficio di chi, in buona fede, è disposto a comprendere ed approfondire questo tema, tutt’altro che marginale: basti pensare che negli Stati Uniti, laddove vigono analoghe prescrizioni, gli aborti si sono ridotti oltre la metà per ripensamento delle madri e senza alcuna coercizione. A dimostrazione che, se le madri incinte sono pienamente informate, capiscono meglio la scelta che è in ballo e desistono da un iniziale proposito, spesso forzato. 
Ripeto: solo il consenso espresso su informazioni non reticenti è veramente libero. Le forzature si verificano quando si negano informazioni non certo quando si offrono in pienezza (come per qualsiasi altro trattamento sanitario).

La campagna di raccolta firme a supporto della proposta di legge di iniziativa popolare ‘un cuore che batte’ (sopra riportata) entra nel vivo. Del resto, per logica coerenza, le battaglie a difesa della vita devono sempre essere vive. Molte voci però vorrebbero fare morire questo progetto. Lascia stupefatti che anche un certo fuoco amico del mondo cattolico mirerebbe ad abortirlo. 

E allora vorrei aggiungere qualche mia considerazione a supporto dell’iniziativa, per superare argomentazioni pretestuose, volte a screditarla.

Non ho la pretesa di convincere tutti. Il mio obiettivo è piuttosto quello di far ragionare su qualche punto i dubbiosi onesti, quelli che non hanno tutti gli elementi per comprendere; non quelli che, a priori, non vogliono confrontarsi. Del resto, non si può dialogare con chi è sordo e rifiuta di guardarti in faccia.

Tortura psicologica o tortura fisica?

Una delle critiche più ostili che viene mossa alla proposta è questa: per le donne che hanno scelto l’opzione dell’aborto, consentita dalla legge, sottoporsi a questa verifica potrebbe trasformarsi in una tortura psicologica. Quindi, questa inutile informazione sarebbe una forma di violenza contro le donne (nota bene: le donne incinte che vogliono abortire, sia nel linguaggio comune politicamente corretto che nella stessa legge 194/1978, non vengono quasi mai definite per quello che sono: cioè madri. Anche questa è una mistificazione. Ne è riprova il fatto che il padre del concepito viene invece sempre definito padre e non uomo o maschio). 

A me pare che questa critica sulla tortura psicologica a cui andrebbero incontro le madri,invece che minare la proposta di legge vada a rafforzarla. Riporto al riguardo quanto ho precisato in un precedente articolo (Le donne incinte si sentono torturate se ascoltano il battito del cuore del feto? E’ la prova schiacciante che non è un grumo di cellule, ma una persona)

‘Se l’ascolto di un battito del cuore diventa una tortura, vuol dire che in esso si riconosce la vita di una creatura umana che si vorrebbe sopprimere. Più aumenta il dolore della madre che vuole abortire più è evidente che il concepito viene identificato per quello che è, smascherando le manipolazioni di chi vorrebbe ridurlo ad ammasso di tessuti senza dignità. Nell’ascolto di un battito il preteso diritto di aborto evapora di fronte al più grande di tutti i diritti: quello di avere un cuore che pulsa che nessuno deve permettersi di fermare.

E allora diventa chiara la mistificazione di chi vuol attribuire ad una creatura indifesa la colpa di essere strumento di tortura a causa della semplice manifestazione della sua presenza. 

Rovesciamo allora l’accusa e poniamoci questa domanda: se ascoltare il cuore del figlio per una madre può essere una tortura, che vocabolo possiamo usare per descrivere la situazione e la sofferenza di un feto che viene smembrato e fatto a pezzi senza anestesie né riguardi o che viene eliminato da tossiche soluzioni saline che gli bruciano i tessuti?’.

Quando il consenso è libero e informato?

Ma c’è di più: se inquadriamo la proposta sul ‘battito del cuore’ non solo negli obiettivi (riduzione degli aborti) ma anche nel presupposto di tutela del libero consenso delle donne, emerge una solida ulteriore argomentazione giuridica, che andrebbe ben spiegata.

Infatti, l’equivoco corrente è che questa nuova prescrizione tolga qualcosa alla libertà di scegliere, condizionandola. C’è poi chi vede in questo passaggio una costrizione insopportabile. In tal caso si dovrebbe però spiegare come mai negli ultimi anni si siano moltiplicati senza particolari avversioni altri controlli ed esami molto più invasivi per le donne in gravidanza, spesso finalizzati ad esiti eugenetici. In realtà, l’informazione che si vorrebbe aggiungere all’iter abortivo e alle ‘buone pratiche ospedaliere’ con la proposta di legge, rende la donna più consapevole di quello che sta per fare. In altre parole, rende il suo consenso più pienamente informato, togliendo alcune zone d’ombra. E quindi più libero. 

Al riguardo, è bene ricordare che la recente legge 219/2017 sul ‘Consenso informato e Dichiarazioni anticipate di trattamento’, ha introdotto il diritto ad un consenso pieno e pienamente informato per ogni trattamento sanitario, nell’ambito di un nuovo concetto di alleanza terapeutica tra medico e paziente. Alleanza che si pretende improntata alla massima chiarezza e trasparenza. 

Questo principio è peraltro ricollegabile al primo comma dell’articolo 18 della tanto invocata L. 194/78 che recita testualmente ‘Chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si considera non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l’inganno’. 

Dunque, negare o eludere l’obbligo di fornire pienezza di informazioni a chi vuole abortire (come si configura nell’esclusione di quella realtà autoevidente che è l’auscultazione di un battito cardiaco) significa contravvenire ad un principio sempre più considerato dalla dottrina e giurisprudenza come inalienabile e incomprimibile: il diritto del paziente di un trattamento sanitario ad ottenere un ‘consenso informato’.

Non può essere, allora, che l’obbligo di tutela del consenso informato sia per il medico obbligatorio e sanzionabile quando è funzionale a scelte di morte (DAT) e divenga invece un optional quando una informazione veramente piena possa portare a salvare una vita, sventando un aborto. Che ascoltare un cuore tocchi il cuore lo dimostra la realtà statunitense: negli Stati in cui è stato introdotto questo obbligo gli aborti si sono ridotti oltre la metà (qui).

Dunque, si mettano sullo stesso piano fattispecie analoghe: stessi obblighi, responsabilità, sanzioni o conseguenze sia per il medico che non adempie agli obblighi relativi al consenso informato sul versante del fine vita che per quello che non li adempie nell’altro versante, che riguarda la vita nascente.

Altri suggerimenti per distoglierci dalla ricerca di peli nell’uovo o per rimuoverli

Ricapitolando: ascoltare il cuore che batte prima di un aborto, più che un dovere dei medici, dovrebbe essere considerato un diritto delle donne; una garanzia che il loro consenso ad un intervento così tragicamente importante sia veramente informato e non estorto con inganno, minacce o reticenze. E in sintonia con la stessa legge 194 (nell’articolo 18 citato).

Riguardo all’altra critica molto gettonata relativa all’inopportunità di un obbligo legislativo a carico del medico, peraltro facilmente eludibile in assenza di sanzioni, così rispondo: non è importante che ci siano sanzioni anzi, è meglio che non ci siano. Ciò che conta non è mandare in galera o rovinare i medici dissenzienti, ma salvare vite umane. Il solo fatto che la legge recepisca questa tutela farebbe ‘cultura’ e si tradurrebbe in un vincolo morale (che poi potrebbe essere puntellato e amplificato).

Insomma, questa petizione, che possiamo sottoscrivere sino al prossimo sette novembre, è sicuramente perfettibile. Ad esempio, per conto mio estenderei l’obbligo di auscultazione e di assistere all’ecografia anche al padre del concepito, se identificabile (visto che spesso si rende responsabile di odiose pressioni abortiste: vere e proprie violenze sulle donne!).

Anch’io sono convinto che la battaglia per salvare la vita nascente si vince incidendo più nella cultura che non con sanzioni di legge (altra critica molto diffusa nello stesso versante cattolico). Tuttavia, è altrettanto vero che le leggi fanno cultura e appianano la strada alle scelte etiche che sottintendono. La stessa legalizzazione dell’aborto ha spalancato il ricorso a questa pratica, attenuando le riserve o gli scrupoli. Se un comportamento è legale è giusto: questo è quello che pensano i più.

E qui concludo: se pensiamo che il grembo materno debba essere una culla e non una tomba svegliamoci, diamo voce alla vita e andiamo a firmare la petizione senza altri indugi, nel nostro Comune. 

La vita batte un colpo e ci chiama: rispondiamo all’appello!




Un cammino che prosegue sul sentiero della Vita

La celebrazione della Giornata Nazionale per la Vita il 5 febbraio, con l’offerta di primule protrattasi anche nella settimana seguente, ha coronato la campagna di preghiera, azione e testimonianza da noi incominciata il 28 dicembre scorso.
È dunque giunto il momento di interrogarci sul senso di quello che abbiamo fatto e sulle prospettive del nostro cammino.
Sui contenuti e le modalità delle nostre iniziative non occorre soffermarci: sono stati ampiamente promosse, divulgate e spesso relazionate sia sul nostro gruppo di whatsapp/mailing list che sul sito. Ci ha stupito inoltre lo spazio amichevole della stampa, molto al di là di quanto ci aspettavamo. Segno che siamo entrati nei radar dell’informazione; e questo può essere un segnale incoraggiante per azioni future.
Ecco, il punto che vorremmo mettere in luce è proprio questo: abbiamo iniziato a costruire una realtà che è stata per questo periodo e può continuare ad essere un punto di riferimento. Insomma, un ombrello o meglio un manto che può abbracciare l’impegno di tanti volontari pro-life.
Uniti contiamo e otteniamo di più! Lo ha dimostrato anche l’ultima iniziativa di offerta di primule a sostegno della Giornata Nazionale per la Vita. In Val Cavallina, ad esempio, il coinvolgimento di parroci e parrocchie ha permesso non solo di ottenere una raccolta di fondi eccezionale (circa 2800 euro) ma anche una efficace possibilità di sensibilizzare persone (con distribuzione di materiale illustrativo) e una grande visibilità dell’evento.
Le molteplici iniziative culturali (testimonianze, incontri, cineforum) hanno risvegliato o rinforzato le motivazioni a sostegno della vita umana, sempre più minacciata. In particolare, le due proiezioni del film Unplanned, che abbiamo sostenuto generosamente, hanno fatto breccia su molti cuori. Anche in persone distanti dalla nostra sensibilità pro-life; anche in moltissimi giovani che siamo riusciti a coinvolgere.
Tutte queste attività sono state preparate e agevolate dall’incessante “azione orante e contemplativa”. Rosari, messe, adorazioni eucaristiche, meditazioni, preghiere personali sono stati l’humus del terreno dal quale sono sgorgate piante che hanno dato molto frutto. “Humus”, lo ricordiamo è una parola che richiama alla terra ma etimologicamente si ricollega all’umiltà (humilitas) ed anche all’umanità (homo, hominis). Come a dire che l’uomo viene dal fango e solo riconoscendo la sua umiltà può elevarsi e realizzare più pienamente i progetti che Dio gli ha assegnato.
L’umiltà rimane il tratto che deve continuare a contraddistinguerci se vogliamo continuare il nostro cammino. E qui si aprono nuovi scenari per il futuro. Non sappiamo di preciso quello che faremo. Consegniamo il nostro progetto e tutto ciò che abbiamo realizzato al Signore. Lo doniamo anche al Vescovo di Ventimiglia – Sanremo e ai referenti e responsabili internazionali di “40 days for life”, riuniti nei prossimi giorni a Cracovia.
Spetterà a loro a valutare l’omogeneità e la ragion d’essere del nostro progetto in relazione alle regole e caratteristiche del progetto originario americano. Da parte nostra auspichiamo, in un modo o nell’altro, di tenere unita una realtà bergamasca che potrebbe consolidarsi e operare fruttuosamente in vari ambiti. Decideremo con umiltà: ci affideremo alla Provvidenza cercando però di non far mancare la nostra opera.




Sanremo, ora basta: mettete primule nei vostri cannoni!

di Roberto Allieri

Guerra in Ucraina e aborti nel mondo. Due modalità di massacro contro l’umanità, in qualche modo collegabili. Eh sì: è guarda caso la stessa cultura di morte che spinge sempre più a soluzioni mortifere come l’aborto (ma anche l’eutanasia e la soppressione di persone fragili) a voler fomentare l’escalation di un conflitto ormai sempre più vicino all’opzione nucleare della distruzione totale.

Chi odia l’uomo, considerato cancro del pianeta, parassita che consuma troppe risorse ed aria (CO2), specie animale infestante da ridurre drasticamente in tutti i modi, che scrupoli può avere per cercare di fermare l’auto-distruzione dell’umanità? Quale tavolo di pace può perseguire se non quello della pace atomica, nel silenzio radioattivo e nella desolazione che mette a tacere tutte le contese? È questo il momento di denunciare con maggior veemenza l’inganno bellicista, smascherando una propaganda sempre più sfrontata.

li appelli mortiferi di Zelensky e i suoi rifiuti di ragionevoli azioni diplomatiche giungono a Sanremo nei giorni in cui si celebra la ricorrenza annuale a difesa della vita, voluta dai vescovi italiani. Durante questo periodo il popolo pro-life manifesta come può il suo inno alla vita, proponendo tra l’altro vasi di primule a sostegno di progetti per far nascere bambini, aiutando mamme in difficoltà.

Viviamo in un Paese che sta andando incontro a un collasso demografico per mancanza di ricambio generazionale, nel quale gli aborti ospedalieri e quelli chimici fai-da-te stanno minando le prospettive della popolazione. In questo quadro sconfortante sembra assodato che la maggior parte degli aborti avvenga per cause riconducibili a motivi economici. Se il figlio non è “sostenibile” nel budget famigliare la scelta di eliminarlo viene ritenuta quella più “sostenibile”. Ecco lo scandalo: se la vita costa troppo si può sopprimere. La vita umana diventa quotabile e quindi anche oggetto di transazioni, sino al punto che un figlio può essere comprato, scelto in un campionario o scartato se difettoso, come una merce. È la stessa logica che ha alimentato e alimenta ancora oggi la schiavitù e il traffico degli schiavi.

Ma c’è anche una buona notizia. È possibile contrastare questa mentalità in diversi modi. Ad esempio, facendo capire che occorre riconoscere uguale dignità a ogni essere umano, sin dal grembo materno. La dignità è un diritto connaturato all’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio; un uomo che condivide con tutti gli altri un DNA che lo rende unico e irripetibile. L’uomo è una persona, non ammasso di materia organica. Ce lo dice la scienza e lo dimostra anche una semplice ecografia, tanto odiata perché svela le menzogne e l’evidenza che si vuole nascondere. E laddove le condizioni di vita sono tali da non rispettare la dignità umana, occorre sforzarsi non tanto per migliorare la dignità (che è una qualità intrinseca a ogni persona e immutabile, uguale per tutti) ma migliorare le condizioni degradanti.

Dare la vita o difenderla è sempre il “best interest”, il migliore interesse di ognuno. Se invece si comincia a ragionare come fanno nel mondo certi giudici o politici che pretendono di sopprimere vite umane per ragioni di scarsa qualità della vita o aspettative degradanti, cosa può impedire di affondare di proposito barconi stracarichi di migranti per gli stessi motivi o eliminare schiere di disoccupati o persone senza redditi o altre categorie sgradite? Ma torniamo alla scellerata campagna guerrafondaia e all’invio di armi fortemente voluta dai regimi occidentali (Italia compresa) a sostegno di Zelensky.

A Sanremo città dei fiori, nel periodo in cui le primule – offerte nei banchetti di movimenti pro-life – rappresentano la riscossa della vita, gridiamolo dai tetti, ai nostri governanti: mettete delle primule nei vostri cannoni!

Un Progetto Gemma – iniziativa promossa dai Movimenti per la Vita e Centri di Aiuto alla Vita che prevede un contribuito di circa 3000 euro a sostegno di gravidanze difficili – riesce in certi casi a scongiurare un aborto. Ma allora, ci chiediamo, un carro armato in meno a Zelensky quante vite potrebbe salvare destinando il suo costo a progetti di accoglienza e sostegno alle famiglie? Per inviare armi in Ucraina o per comprare vaccini inutili i fondi ci sono sempre. Ma per sostenere le famiglie italiane ad accogliere bambini arrivano solo briciole e vaghe promesse.

Certo, è triste comprare la vita, perché la vita non ha prezzo. È triste pensare che il diritto che ogni creatura umana concepita ha di venire al mondo sia spesso condizionato dalla situazione finanziaria della famiglia. Ma laddove il denaro diventa l’ultima spiaggia contro la disperazione occorre indirizzarlo dove può portare salvezza. E forse qui sta un punto cruciale che può concretamente far superare gli steccati che dividono pro-life e sedicenti pro-choice (ovvero, per la scelta di aborto): la questione del sostegno economico.

C’è infatti un duplice punto di partenza sul quale i diversi schieramenti potrebbero convergere:

1) l’aborto è un dramma da evitare (così da sempre riconoscono a parole tutti, femministe comprese); 2) le motivazioni economiche non devono essere un motivo di aborto e se lo sono possono e devono essere superate (lo prevede la stessa pur vituperevole legge 194/78).

Su questo secondo punto è bene, in particolare, far trarre alle femministe alcune coerenti conseguenze alle loro rivendicazioni di libera scelta. Del diritto cioè che una donna incinta avrebbe di scegliere liberamente se tenere o no il figlio che porta in grembo. Dunque, a questi paladini della libera scelta si potrebbe dire: se una madre non è libera di scegliere di avere un figlio perché ci sono impedimenti economici, allora sostenere finanziariamente la donna per favorire la nascita diventa un obiettivo di libertà di scelta. Infatti, una donna che volesse tenere il figlio ma abortisce perché costretta dalla pressione di chi adduce motivi di carattere economico non è libera nella sua decisione.

Almeno su questo versante, abortisti e anti-abortisti potrebbero condividere la stessa conclusione e scongiurare drammi (o meglio, tragedie), salvando innumerevoli vite. A meno che le battaglie per “la libera scelta” non nascondano una mentalità che considera la nascita di un figlio sempre come una minaccia in sé e per sé, come qualcosa da evitare. Ma se fosse così un certo mondo femminista che proclama di rappresentare e difendere le donne, dovrebbe calare la maschera. Infatti, la nascita di un figlio è un evento che nella vita riguarda la stragrande maggioranza delle donne e quindi rispettare la maternità significa mettersi realmente dalla parte delle donne; mentre contrastare la maternità contraddice l’aspirazione femminile più naturale, giusta e radicata.

Insomma, l’opzione “paga e salva” è una soluzione di compromesso che può far arricciare il naso a molti. Anche chi compra figli con il sistema dell’utero in affitto potrebbe eccepire che la vita si può comprare.

In effetti, occorre precisare: ciò che è lecito comprare non è un essere umano o una vita umana ma un’opzione di salvezza, di una persona altrimenti destinata alla morte. Il che è ben diverso. Pragmaticamente, il sostegno economico a madri in difficoltà è la strategia che può dare un più concreto successo in termini di salvezza di vite umane.

Ricorda quella adottata da Schindler nel famoso cult-movie di Spielberg. In quella pellicola il protagonista (ispirato a un vero personaggio della vita reale) salvava le vite degli ebrei condannati comprandole. E anche lui non comprava persone ma opzioni di vita per chi era condannato a morte. Schindler non metteva in discussione le leggi, né attaccava i detentori del potere. Questo non sarebbe stato possibile in quel clima culturale e politico. Ma piuttosto dava loro ottimi motivi per collaborare, seppur involontariamente, al suo progetto di salvezza. E allora, ci chiediamo, se il pragmatismo produce frutti migliori dell’idealismo senza contraddirlo, perché rinunciare?

Per non parlare di un’altra possibilità pragmatica di salvare la vita di un bambino dandolo in adozione alla nascita: è la facoltà del “parto in anonimato”, previsto dalla legge 194/78, alla quale non viene data alcuna pubblicità dallo Stato.

Concludendo: Sanremo città dei fiori che proclamano la vita o città dei cannoni che portano la morte? E il fiume di denaro che sta convergendo lì alimenterà sviluppo e crescita umana o distruzione? Basta guerra, morte, odio dell’uomo: è ora di cambiare musica.